La storia e la vita del più grande scrittore per immagini mai esistito. Un documentario esemplare, capace di irradiare bellezza e profondità da ogni singolo fotogramma. “Il sale della terra” non è un semplice film, è un’esperienza visiva che accarezza e oltrepassa le porte della riflessione filosofica.
Fotografia. Un vocabolo che affonda le sue radici nel greco antico e che sta a significare, alla lettera, una scrittura per immagini. Vocabolo ai giorni nostri fin troppo usato, che ha rischiato molte volte di perdere l’essenza stessa del suo significato. A rinnovare oggi un dibattito che sembrava non avere più nulla di nuovo da dire, c’ha pensato uno dei grandi nomi della cinematografia contemporanea: Wim Wenders. Colpito e affascinato dalla potenza espressiva di alcune fotografie scattate in una maestosa miniera del Brasile, ha voluto documentarsi sull’identità del fotografo che le aveva realizzate. Comincia così “Il sale della terra”, un viaggio nella vita e soprattutto nelle opere di Sebastiao Salgado, uno dei più grandi fotografi viventi.
Nato nel 1944 ad Aimorés, nello stato di Minas Gerais, da cui parte ancora adolescente, Salgado è oltre che un fotografo, anche un instancabile viaggiatore che ha finora esplorato ventisei Paesi in tutto il Mondo e concentrato in immagini bianche e nere di una semplicità sublime e una sobrietà brutale, i più importanti eventi del XX Secolo. Interrogato dallo sguardo fuori campo di Wenders e accompagnato sul campo dal figlio, l’artista si racconta attraverso i reportages che hanno omaggiato la bellezza del pianeta e gli orrori che hanno oltraggiato quella dell’uomo. Fotografo umanista della miseria e della tribolazione umana, Salgado ha raccontato l’avidità di milioni di ricercatori d’oro brasiliani sprofondati nella più grande miniera a cielo aperto del mondo, ha denunciato i genocidi africani, ha immortalato i pozzi di petrolio incendiati in Medio Oriente, ha testimoniato i mestieri e il mondo industriale dismesso, ha perso la fede per gli uomini davanti ai cadaveri accatastati in Rwanda e ‘ricomposti’ nella perfezione formale e compositiva del suo lavoro.