Amato come il rischio, odiato comea prigione.
Il gioco d’azzardo è da sempre qualcosa che affascina l’uomo, facendo credere di essere alle redini del comando, avvolgendolo nel caldo manto del “tin-tin” ripetuto delle macchinette che fingono di regalare soldi.
È un vizio, ma non di quelli da una notte e via, così sarebbe semplice avere il coltello dalla parte del manico; il gioco d’azzardo è un cannibale che ti divora piano piano, pezzo per pezzo, partendo dalle cose materiali che possiedi, fino a sbranarti l’anima.
Eppure, ben sapendo tutto questo, il gioco d’azzardo si diffonde a macchia d’olio e purtroppo anche tra i più piccoli; non parlo solo di figli di accaniti genitori (magari! Almeno ci sarebbero una spiegazione logica e un capro espiatorio), ma anche di bambini provenienti da famiglie normali, ma forse talmente normali da sfociare nell’ingenuità più profonda, tanto da portare loro stessi i figli a giocare dopo la scuola.
Il gioco è una condizione umana dettata dal bisogno di fuga dalla realtà e perciò visto come qualcosa di innocuo, divertente e rilassante. Non si scorge quasi mai il pericolo che esso possa diventare una droga di cui si avrà continuamente bisogno.
È noto ormai che il numero di giovani, soprattutto dai 12 ai 18 anni, gioca spesso d’azzardo, sia online che offline, adducendo scuse quali ‘per divertimento’, ‘per vincere soldi’ o, peggio ancora, ‘lo fanno anche mamma/papà/nonno’, dunque l’emulazione che è caratteristica tipica degli adolescenti.
Il gioco d’azzardo è, oggi, una realtà in forte espansione e la crisi economica, insieme alla mancanza di prospettive, hanno aumentato il ricorso a questa attività, che è diventata patologica per i più giovani, anche a causa della facilità di accesso ai siti internet dedicati o per la diffusione di video poker o simili in luoghi frequentati soprattutto da adolescenti.
Una domanda, però, sorge spontanea: perché si arriva alla patologia tra i giovani? L’ossessione per il gioco d’azzardo è sicuramente da intendersi come amplificatore di un disagio e, come dice il Dott. Paolo Bagnare, psicologo, in un’intervista:
“la vincita facile ha in sé un aspetto magico che fa presa in giovani individui che non si sono del tutto lasciati alle sole il pensiero magico infantile. Questa difficoltà innesca però il meccanismo che ci dice alla dipendenza. L’adolescenza è un periodo border caratterizzato da una forte fragilità, durante il quale spesso si cerca un appoggio esterno per supplire alla mancanza di definizione e di forza interiore. Il giovane è anche incline a sfidare il mondo degli adulti pur non avendo ancora piena consapevolezza delle sue azioni. La Rete è sicuramente un modo per entrare in contatto con un’attività tipicamente da adulti e il denaro non è la molla principale. Gli adolescenti apprezzano l’eccitazione del gioco e la capacità di entrare in un mondo altro dove perdersi e dimenticare tutti i problemi della quotidianità.”
Il gioco, dunque, come motivatore, come aggancio da trovare in mezzo alla bufera adolescenziale che caratterizza ogni essere umano di quell’età, e come dimostrazione dal fragilità e debolezza emotiva.
Iniziare a giocare per caso, spinti dai propri genitori che come ‘premio’ di buon comportamento portano i figli in sala giochi, dimostra sempre di più l’assenza di valori e la vacuità morale che pervade la nostra società odierna, perché è palese la mancanza di dialogo genitore-figli, l’inadeguatezza dei primi nel non cogliere la gravità delle conseguenze del loro gesto alla loro apparenza innocuo e il totale oblio che mescola in un tutt’uno non impegno-divertimento-soldi-patologia (non omogeneo perché tutti e tre gli elenementi sono ben distinguibili, se ‘ascoltati).
Il morboso inseguimento del ‘soldo facile’ è una piaga ben estesa tra i giovani di oggi che, pur di comprarsi qualunque cosa, sono disposti a pagarla sempre e sempre di più, combattendo battaglie impari con delle macchinette programmate solo esclusivamente per vincere.
La nostra società ha il dovere di monitorare questa patologia sempre più diffusa, collaborando con la famiglia che per prima deve assicurare al giovane un’educazione votata al valore e al rispetto dei soldi, alla soddisfazione di sudarseli, alla capacità di guadagnarseli, sia con la scuola attraverso i racconti reali di chi la ludopatia l’ha vissuta sulla propria pelle, perché il manifesto appeso alla bacheca non serve, servono le testimonianze di chi ha vissuto l’inferno, divorato ogni giorno dalle fiamme, per poi riemergere e comprendere che la schiavitù del gioco è una dipendenza subdola ma anche superabile.
Valeria Genova
[immagine tratta da Google immagini]