Catalogare la vegetazione che ci circonda per poterla tramandare alle generazioni future. Tratteggiare la storia di una foresta per arrivare a comprendere più a fondo noi stessi e la storia dell’umanità. Homo Botanicus, primo film da regista del colombiano Guillermo Quintero, non si limita a raccontare la vita di Julio Betancur, professore ordinario di biologia a Bogotá, e del suo discepolo Cristian Castro, ma documenta un rapporto tra uomo e natura in grado di mettere in scena una visione che trascende i confini del discorso filosofico per arrivare a lambire la sfera del sacro.
Tutto ha inizio nel verde tropicale di una grande foresta colombiana dove il regista porta la sua macchina da presa per seguire, da distanza privilegiata, la ricerca dei due studiosi intenti a raccogliere e catalogare quante più piante possibili per poterle inserire nel grande archivio botanico della Colombia: l’Herbario Nacional. La ricerca dei due protagonisti è in realtà solo un pretesto per raccontare il senso più intimo e ancestrale della ricerca naturalistica. In una delle sequenze chiave del film, Castro racconta al maestro Betancur come lo studio della natura sia, a suo modo di vedere, la forma d’amore più pura al mondo. Chi ama la natura sa che il suo sentimento non verrà mai ricambiato al contrario di una relazione tra esseri umani ma, al tempo stesso, nutre dentro di sé uno dei sentimenti più autentici che si possano provare: l’amore disinteressato. È questo il sentimento che distingue l’uomo dal vegetale. Il film segue per buona parte della sua durata l’immersione dei due studiosi nella foresta tropicale. Più si avvicinano al cuore della natura, più sembrano diventare un tutt’uno con la vegetazione mentre le piante catalogate iniziano a rivelarsi in tutta la loro sorprendente umanità. In 27 anni di onorata carriera, il professor Julio Betancur è entrato nella storia della biologia colombiana per aver raccolto e catalogato oltre 20mila specie sconosciute di piante che lui stesso ha scovato nelle foreste, descritto e catalogato all’interno degli archivi dell’Herbario Nacional. È questo il luogo dove si svolge l’ultima parte del documentario di Quintero. Nel momento in cui la ricerca nella foresta finisce, arriva la complessità di un lavoro il cui scopo più alto diventa la creazione di una conoscenza comune e sociale. Un archivio inestimabile di vite vegetali che raccontano storie preziose a chi si avvicina alla natura con lo scopo di studiarla e capirne l’essenza. Resterà deluso chi pensa a Homo Botanicus come un film militante contro la minaccia dei cambiamenti climatici e i danni che l’uomo sta infliggendo alla natura. Qui c’è una riflessione molto più profonda e acuta sul bisogno che abbiamo nei confronti dell’ambiente per riuscire a capire meglio noi stessi.
Film d’apertura all’ultima edizione del Sole Luna Doc Film Festival di Treviso e vincitore del premio per il Miglior documentario Internazionale al Torino Film Festival 2018, Homo Botanicus è un’opera perfettamente a fuoco sul nostro presente. Un viaggio in un mondo esotico e lontano che racconta la storia di una ricerca verdeggiante dove uomo, natura, cinema e filosofia si compenetrano alla perfezione. Il finale è aperto, non scritto, come le possibilità che ancora ci restano per poter iniziare a vivere la natura che ci circonda con un pizzico di consapevolezza in più.
Alvise Wollner