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Centri commerciali

I centri commerciali: Bauman e la nuova trappola della modernità

Nel panorama della sociologia contemporanea non si può prescindere dall’analisi del contributo offerto da uno degli intellettuali più influenti dell’ultimo secolo: Zygmunt Bauman. Bauman introduce la metafora relativa alla liquidità per descrivere una contemporaneità fluida, che  ha perso ogni stabilità relazionale e che è caratterizzata da uno scorrere incessante degli eventi. Tutto questo coincide, inevitabilmente, con l’inizio di una nuova epoca che ritrova nell’avvento del consumismo l’apice della soddisfazione individuale: «Nuovi bisogni richiedono nuove merci; nuove  merci richiedono nuovi bisogni e desideri; l’avvento del consumismo inaugura l’era dell’“obsolescenza programmata” dei beni offerti sul mercato» (Z. Bauman, Consumo, dunque sono, Laterza, 2011, p. 49).  

La necessità di consumare è strettamente connessa al paradosso relativo alla presenza dei centri  commerciali: da un lato questi luoghi rappresentano spazi di socialità perché spazi aggreganti, dall’altro lato, però, contribuiscono alla creazione dell’isolamento individuale.
Il tipo di aggregazione che si crea nella modernità liquida è quella che Bauman definisce sciame, ovvero un insieme di individui slegati l’uno dall’altro che si uniscono e disuniscono con estrema facilità poiché semplici sono i motivi che conducono all’unione. Esistono, all’interno dello sciame, solamente singole individualità che lavorano per il bene proprio e che in base alla causa da abbracciare decidono di avvicinarsi ad altre singolarità svincolandosi da qualsiasi idea di cooperazione. Il luogo più emblematico del costituirsi dello sciame è il centro commerciale. All’interno di quest’ultimo, infatti, i soggetti si incontrano poiché mossi dal desiderio comune di consumare, ma rimangono chiusi nel proprio sé senza aprirsi mai veramente alla relazione sociale con l’altro, questo perché il consumo rimane un atto irriducibilmente individuale. 

I centri commerciali rappresentano non solo spazi fisici legati al consumo, ma anche luoghi di incontro e di separazione sociale. Il fatto stesso che gli individui sentano la necessità di collocarsi all’interno di un centro commerciale riflette lo smarrimento esistenziale proprio dell’epoca contemporanea: secondo Bauman, infatti, il desiderio persistente di consumare prodotti nuovi è strettamente connesso alla volontà di rimanere al passo con le tendenze del momento per evitare una possibile marginalizzazione sociale con conseguenti effetti sulla costruzione dell’individualità propria dei soggetti.

Inoltre, i centri commerciali rappresentano una particolare forma di non-luoghi poiché, seppur privi di qualsiasi autenticità strutturale, riproducono fedelmente l’organizzazione sociale della realtà  contemporanea. Citando, ad esempio, il Westfield London, The Dubai Mall, CityWalk o i diversi Outlet che si possono trovare in Italia si può evidenziare come questi spazi fittizi siano caratterizzati da una configurazione che ricrea l’atmosfera della città con piazze pedonali, spazi pubblici, ristoranti e, talvolta, la divisione in quartieri. Quello che spinge gli individui a passare gran parte del loro tempo all’interno di ambienti artificiali è la necessità di ritrovare posti sicuri all’interno dei quali vivere: la realtà sociale è, al contrario, uno spazio complesso e ricco di dinamiche risultanti da una globalizzazione che ha investito ogni ambito dell’umano creando un senso di incertezza costitutivo degli individui. I centri commerciali, infatti, appaiono come macro-bolle protettive che si svincolano dalla frenesia del presente con l’intento di soddisfare in modo immediato bisogni continuamente auto-indotti. Il sovraffollamento degli Outlet, ad esempio, durante i fine settimana evidenzia come gli individui siano  incapaci di trovare un’alternativa valida poiché immersi in un continuo circolo vizioso di necessità. 

In un mondo sempre più interconnesso, anche a livello digitale, ma profondamente frammentato nelle  interazioni quotidiane, i centri commerciali sono esempi paradigmatici di un’illusione di connessione che nasconde una solitudine strutturale. Le interazioni che avvengono all’interno di questi luoghi sono superficiali e transitorie poiché le dinamiche che muovono i soggetti riguardano la possibilità egoistica del soddisfacimento di bisogni personali. Non vi è alcun senso tangibile di comunità e, al contrario, il contesto consumistico alimenta una competizione tra individui. Il valore di una persona  è misurato dalla capacità di consumare e non dalle capacità relazionali: questo si traduce con l’esclusione di tutti quegli individui meno abbienti che rappresentano i non-consumatori. 

I non-consumatori, dal momento in cui non possono contribuire attivamente al benessere del gruppo  mediate il consumo, vengono segregati anche a livello fisico occupando i ghetti e le zone poco frequentate delle città inserendosi all’interno di un processo di esclusione che vede la creazione di una divisione netta tra classi sociali. In questo senso, il centro commerciale non è solo un luogo di acquisto, ma un luogo dove si costruisce la forma dell’individuo contemporaneo: un consumatore che non trova nella comunità, ma nel consumo stesso, il proprio modo di esistere e di affermarsi.

 

NOTE
[Photo credit Carl Raw via Unsplash]

 

Kiara Nadalon
È laureata in Filosofia e ha recentemente conseguito la laurea magistrale in Pluralismo culturale, mutamento sociale e migrazioni. Si occupa di tematiche filosofiche e sociali contemporanee, con particolare attenzione alla dimensione della corporeità. I suoi studi si sono concentrati, in particolare modo, sull’analisi del pensiero di autori come Nietzsche, Bauman e Sloterdijk.

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