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I molteplici significati dell’orientamento scolastico

Solitamente ottobre e novembre sono mesi in cui, per chi si trova nell’ultimo anno del percorso di istruzione secondaria (terza media o quinta superiore), vengono proposte molteplici attività di orientamento alla scelta del passo successivo da compiere: passo che porterà a continuare gli studi o a sperimentare il primo lavoro (nel caso di chi termina le superiori). Orientamento è una parola affascinante. Una parola che ispira immagini di boschi, sentieri, mappe geografiche e cieli stellati. Ma se si va ad esplorarne il significato, si possono scoprire complessità e gradazioni di senso, che potrebbero portare ad emozioni non così positive e distensive, come quelle suscitate dalle passeggiate nella natura. 

La Treccani online descrive l’orientamento come la «capacità di orientarsi, come consapevolezza della reale situazione in cui un soggetto si trova, rispetto al tempo, allo spazio e al proprio io, risultante dalla sintesi di molteplici processi psichici (percettivi, mnesici, ideativi) che implicano insieme un sufficiente grado di lucidità della coscienza». In questa definizione ci sono tre parole sulle quali vale la pena soffermarsi. 

La prima è consapevolezza. Se si sta decidendo la direzione in cui si vuole andare, bisogna conoscere il proprio punto di partenza. Per un giovane alle prese con la scelta di come proseguire dopo gli studi, ciò significa avere un’idea abbastanza chiara delle proprie caratteristiche personali, delle capacità, dei desideri. Non solo, secondo il pensiero del fisico Federico Faggin, la consapevolezza non è data solo dal possesso di informazioni, ma è strettamente collegata al sentire: sentire dentro di sé, sentire il sé, sentire il fuori da sé1.
I ragazzi che concludono la quinta superiore, che grado hanno di conoscenza di sé? La scuola come la conosciamo oggi, agevola lo studente in questo percorso di autoconsapevolezza o lo lascia ai margini, troppo concentrata a fornire nozioni e informazioni? E noi genitori, in che modo aiutiamo i nostri figli a leggersi interiormente? Più sbrigativo e rassicurante per noi, sarebbe infatti fornire già delle soluzioni, decidere al posto loro sostituendosi nella scelta. Non orientare, quindi, ma indicare precisamente dove andare, cosa scegliere; togliendo loro, però, la possibilità di sentirsi protagonisti del proprio andare.  

La seconda parola su cui riflettere è tempo. L’orientamento scolastico è un direzionarsi nel tempo, più che nello spazio. Ci si deve immaginare nel futuro. Ancora prima, ci si deve immaginare un futuro. I tempi che stiamo attraversando, con l’instabilità politica, le guerre, il cambiamento climatico e l’insostenibilità dell’impronta umana sull’ecosistema, di tutto ci parlano tranne che di futuro. I nuovi movimenti giovanili si richiamano spesso all’estinzione come prospettiva reale per l’umanità. In che modo, quindi, essi immaginano il futuro se questo è il punto di partenza presente? Come fa, una studentessa o uno studente di quinta superiore, a immaginarsi nel futuro se non è nemmeno certo che ci sia un futuro da immaginare? È proprio da questi interrogativi che nasce l’incertezza, così come la definisce Bauman, ovvero «il risultato combinato del sentimento di ignoranza (impossibilità di sapere ciò che accadrà) e di impotenza (impossibilità di evitare che accada) e di una paura sfuggente e diffusa alla disperata ricerca di un punto fermo» (Z. Bauman, Modernità Liquida, Laterza, 2011, p. XIII). 

La terza ed ultima parola su cui soffermarsi è lucidità. Per orientarsi bisogna essere lucidi, capaci cioè di ragionare nell’incertezza, non avendo a disposizione tutte le variabili dell’equazione ma piuttosto molte incognite. L’ansia è la nemica numero uno del pensiero lucido, è la paura stessa del futuro. Come aiutiamo i nostri figli a gestirla e a gestire l’incertezza da cui è prodotta? Non siamo, invece, i primi ad alimentarla, insieme agli altri attori educanti, con le nostre pretese di performance? Con il non tollerare la possibilità dell’errore, dello sbaglio, del cambio di percorso? Tornando al pensiero di Bauman, possiamo trovare qualche supporto nel suo testo L’arte della vita, dove il sociologo ci invita a venire a patti proprio con l’incertezza, essendo essa parte costituente dell’esistenza umana. Scegliere quindi, non è un’azione scientifica certa, ma un qualcosa di artistico, intrisa cioè di tecnica e sentimento. È un’impresa umana mossa dalla speranza di incontrare la felicità: ogni scelta è giocoforza arbitraria, rischiosa, non assicurabile contro rimpianti, errori ed insuccessi4.

È un viaggio da affrontare con una mappa in cui si troveranno informazioni, consigli orientativi, ma anche necessariamente, emozioni, paure, rischi e speranze.

 

NOTE
1. Cfr. ad esempio, F. Faggin, Irriducibile. La coscienza, la vita, i computer e la nostra natura, Mondadori,  2023.
2. Cfr. Z. Bauman, L’arte della vita, Laterza, 2009.
[Photo credit Jan Huber via Unsplash.com]

 

Laura Cappellazzo
vive a Oderzo con la sua famiglia numerosa composta da un marito, quattro figli, un gatto e una tartaruga. Laureata in Scienze dell’educazione e diplomata in Counselling, ha conseguito il master in Relazioni interculturali e Gestione dei conflitti. Ha lavorato come educatrice con minori e donne in situazioni di violenza sia in Italia che in Perù, e a progetti antitratta per la tutela delle vittime di sfruttamento sessuale e lavorativo. Attualmente si occupa di sensibilizzazione ai diritti umani, migrazioni e violenza di genere. E’ autrice per le Edizioni Paoline e volontaria Caritas nei progetti di ascolto ed accoglienza della sua città.

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