Il nostro presente è attraversato da catastrofi: guerre, disastri ambientali, e in alcune nazioni, come l’Italia, si ha un calo demografico da record storico.
La realtà si presenta come un caos apparente, ma al contempo sembra retta da qualche ordine che permette di non farla collassare, schiacciata dalla propria complessità. Per parlare di questa situazione viene in nostro aiuto il concetto di ritornello elaborato da Deleuze e Guattari all’interno di Mille Piani. I due autori definiscono il ritornello o canzoncina «come l’abbozzo, nel caos di un centro stabile e calmo, stabilizzante e calmante» (G. Deleuze, F. Guattari, Mille Piani, Orthotes, 2017, p. 432). Attraverso le lenti della filosofia il ritornello diventa un meccanismo rituale, applicabile a vari livelli, capace di creare ordine in mezzo al caos. Per aiutarci con un’immagine, il ritornello è come ciò che conferisce regolarità a qualcosa che all’apparenza è totalmente casuale, come le volute di fumo che si dispiegano da una sigaretta, o come le traiettorie seguite dai fiocchi di neve. In questi fenomeni non vi è una cadenza che si ripete in modo ordinato e sempre uguale, ma comunque sia vi è una regolarità.
I ritornelli sono un concetto per parlare del modo in cui viene messa in ordine la realtà, sono parte di quelle che Peter Sloterdijk chiama antropotecniche, cioè gli strumenti con cui si creano le sfere:
«Nelle sfere, le ispirazioni condivise divengono il fondamento della facoltà di coesistenza degli uomini in seno a comunità e popoli. In esse si forma in primo luogo questa relazione forte tra le persone e i motivi che le animano» (P. Sloterdijk, Sfere I. Bolle, Raffale Cortina, 2014, p. 24).
I ritornelli cementificano la relazione tra le persone e i motivi che le mettono in moto, sono ciò con cui comunichiamo e condividiamo le aspirazioni e ispirazioni, e per questo rispecchiano ciò che sta alla base della coesistenza umana. Siccome i ritornelli sono la modulazione affettiva di ispirazioni e aspirazioni, essi riguardano quel che si pensa e immagina del futuro. E quindi cosa pensa la nostra società del futuro?
Mark Fisher ha reso popolare il concetto di realismo capitalista secondo il quale nelle società postindustriali è più facile immaginare la fine del mondo che quella del capitalismo, implicando quindi l’impossibilità di immaginare un futuro diverso dal presente. Questo concetto è come una sorta di mega ritornello che sostiene lo stato delle attuali società occidentali (e non), creando ordine nel caos contemporaneo.
Il nucleo dei ritornelli del realismo capitalista risiede nella responsabilizzazione dei singoli rispetto ai problemi che costellano il nostro presente, essi servono ad individualizzarli, cioè a confinarli ad una sfera individuale. Questi ritornelli ci dicono che la risoluzione dei problemi risiede nella sfera intima degli individui: chi si trova ad affrontare un’alluvione dovrà risolversela da solo; se si ha un calo della natalità è colpa delle nuove coppie che non vogliono fare bambini; la deterrenza all’inquinamento ambientale dipende dalla raccolta differenziata che fai a casa tua (a fronte di qualsiasi gigante del commercio che inquina più di una nazione intera). La progressiva privatizzazione della sanità pubblica italiana fa risuonare lo stesso ritornello: sarà l’individuo a doversi prendere carico della propria salute, non più lo Stato.
La vita quotidiana è colonizzata da questi ritornelli che stanno alla base del processo di formazione degli individui moderni. Essi ci raccontano di un ordine della realtà e con tale racconto contribuiscono alla sua stessa creazione, ma questo ordine predatorio e individualizzante ci priva della capacità di aspirare nonché immaginare un futuro diverso da quello attuale. Il caos del presente – crisi climatica, inquinamento, calo demografico e flussi migratori – è messo in ordine dai ritornelli del realismo capitalista come una serie di problemi individuali, e tale individualizzazione ci priva della visione collettiva e sistemica della loro natura. Come scrive Fisher nella sua analisi del film distopico I figli degli uomini:la catastrofe «non è dietro l’angolo, né è già avvenuta: piuttosto, viene attraversata. Non c’è un momento preciso in cui il disastro si compie, né il mondo finisce con un bang: semmai si esaurisce, sfuma, va lentamente a pezzi» (M. Fisher, Realismo capitalista, Nero, 2008, pp. 27-28).
La filosofia può essere la chiave di volta che permetta di acquisire la consapevolezza che i ritornelli che regolarizzano e ordinano gli elementi dell’attuale catastrofe, come se fossero problemi da risolvere individualmente, in realtà sono la trama che ne rafforza la perpetuazione. Questi ritornelli invece di cementificare la coesistenza degli uomini basandola sull’aspirazione ad un futuro diverso e condiviso, ne strutturano le fondamenta sulla responsabilità e colpevolizzazione individuale.
NOTE
[Photo credit diana kereselidze via Unsplash]
Simone Scoscini
Filosofo specializzato in dinamiche culturali globali, esplora l’impatto della filosofia sulla vita quotidiana e il dialogo tra culture diverse. Fa parte della redazione di Rapteratura, dove approfondisce temi legati alle narrazioni interculturali e alla contemporaneità.