Home » Rivista digitale » Cultura » Arti » Iconoclastia e la scellerata volontà di riscrivere la storia
iconoclastia

Iconoclastia e la scellerata volontà di riscrivere la storia

Esistono delle qualità e delle caratteristiche imprescindibili che non possono mancare affinché un oggetto o un’immagine possano essere definiti artistici: un chiaro senso della composizione, un messaggio visivo forte e contestualizzato, un pensiero, una riflessione o un insieme di emozioni che possono andare ad influenzare, anche profondamente, la sensibilità dello spettatore. L’arte, quindi, va intesa come un’importante forma di comunicazione, che, al pari di letteratura e musica, può veicolare concetti e idee in modo molto rapido e talvolta del tutto esplicito, con il conseguente rischio, sempre presente, di attirare le ire di chi quei concetti e quelle idee proprio non le tollerano e la conseguente iconoclastia. 

Questa intolleranza si sposa quasi sempre con atteggiamenti e ideologie socio-politiche di stampo estremista, che nella lunga storia umana hanno dato prova in numerose occasioni che con la carta dei libri si può fare un bel falò, o che si possono chiudere in gabbia coloro che, con una bella faccia tosta, hanno osato dire qualcosa contro chi detiene il potere, oppure, infine, che con il marmo delle statue si possono fare cose molto più utili, come per esempio altre statue, ma con un soggetto più gradito. In poche parole, uno scenario assurdo e drammatico che però, in realtà, potrebbe non essere così distante come pensiamo. Se, infatti, comunemente si ritiene che queste pratiche appartengano a stati e governi privi di democrazia, in verità capita sempre più spesso di sentire proposte aberranti, in questo senso, anche nei paesi più democratici.

D’altronde, non è passato nemmeno un secolo da quando i regimi totalitari in Europa bruciavano migliaia di libri considerati pericolosi per l’ordine pubblico. Negli stessi anni andavano messe all’indice centinaia di opere d’arte considerate “degenerate”, tra le quali figuravano soprattutto dipinti e sculture di artisti d’avanguardia, che con la loro portata innovativa e il loro dichiarato intento anticlassicista minavano la grandiosa e apparentemente rassicurante ricerca della bellezza classica da parte dei regimi, con la quale si voleva comunicare l’ipotetico ritorno a una grandezza imperiale degna dell’antica Roma. 

Dietro questi comportamenti altro non c’era che una volontà di riscrivere la storia a proprio piacimento: ridicolizzando certe immagini e distruggendo molti scritti si andava così a cancellare quelle pagine di storia non gradite, quei pensieri che offrivano riflessioni potenzialmente pericolose e destabilizzanti, quelle immagini che offrivano un punto di vista diverso con cui guardare la realtà. Ecco allora che lo spettro dell’iconoclastia si scagliava su veri capolavori dell’arte contemporanea, con il raccapricciante tentativo, per fortuna non riuscito, di dare un colpo di spugna a una parentesi storica importantissima per l’evoluzione culturale umana. 

Ma l’iconoclastia, nella storia, non ha colpito tanto l’arte dei contemporanei, quanto più l’arte dei decenni o dei secoli precedenti, le opere appartenenti a un passato disconosciuto e con il quale ci si trova in aperto conflitto, sia per idee politiche che religiose o socio-culturali. È esattamente quello che sta succedendo oggi in alcune aree del Medio Oriente, dove la furia iconoclasta dell’Isis si sta abbattendo su capolavori dell’antichità, privandoci per sempre di siti archeologici di grandissima importanza, come Ninive e Palmira. Questi fatti, guidati da un accecante e inaccettabile fanatismo religioso, hanno sconvolto il mondo occidentale e non solo, tanto da creare un’onda di dissenso generale a livello globale. 

Proprio alla luce di questi gravissimi eventi recenti, dovrebbero fare ancora più spavento e rabbia le numerose proposte che, in questo travagliato 2020 ancora recentemente concluso, hanno cominciato a circolare pericolosamente a partire dagli Stati Uniti in seguito all’uccisione di George Floyd. Al fianco di nobili iniziative quali il movimento Black Lives Matter, infatti, si sono da subito innalzate numerose voci contro importanti opere d’arte del passato, celebri film e capolavori di letteratura, additati come pericolosi messaggi dal contenuto razzista, schiavista, colonialista e atto a celebrare la supremazia dell’uomo bianco. Tra i capolavori finiti all’indice, spiccano il celeberrimo Via col vento, ma anche, incredibilmente, la Divina Commedia. In alcuni musei newyorkesi si vorrebbe spostare in magazzino capolavori d’arte contemporanea per fare spazio a opere di autori afroamericani dalle indubbie qualità, ma dallo scarso valore storico. 

Sì, perché di storia si tratta, e quella ormai non si può cambiare. Il tentativo di modificare (o eliminare) il passato con l’iconoclastia per tenere solo ciò che piace è fallimentare per definizione, e palesa come anche il pensiero delle menti più liberali e attente ai diritti umani possa sfociare, quando si assumono posizioni estremiste e intransigenti, in maccheroniche pagliacciate. Quello che si può cambiare è il presente, il futuro di un mondo che, senza gli esempi portati dalla storia, non può migliorare e non può evolversi. Sono gli artisti afroamericani di oggi a meritare un posto in prima fila nelle gallerie, insieme ai colleghi di origini europee. Prendersela con gli errori del passato non serve a nulla, solo a dimostrare un ridicolo senso di buonismo atto a provocare pietà nei confronti di chi lo promuove. Il verbo chiave per il futuro non è certo rimpiangere, ma piuttosto proporre, progettare. Chi continua a rimpiangere, forse, non ha davvero nulla da proporre. 

 

Luca Sperandio

 

[immagine tratta da Pixabay]

copertina-abbonamento-2020-ultima

Gli ultimi articoli

RIVISTA DIGITALE

Vuoi aiutarci a diffondere cultura e una Filosofia alla portata di tutti e tutte?

Sostienici, il tuo aiuto è importante e prezioso per noi!