Di questi tempi citare George Orwell può essere pericoloso, si rischia di passare per seguaci di una moda letteraria improvvisata tendente al radical e di replicare con triste ironia le frasi dello scrittore britannico per sottolineare la propria presunta superiorità morale e intellettuale, in contrasto ad una massa di creduloni in costante crescita.
La sola colpa imputabile a Orwell è di aver pubblicato settant’anni fa 1984, un libro che non conosce crisi nonostante l’angosciante grigiore che impregna ogni pagina e che, una volta concluso, fa venir voglia di auto esiliarsi in un monastero tibetano fino alla fine dei tempi; la colpa più grossa tuttavia appartiene a noi, intesi come genere umano, perché siamo stati capaci di realizzare alcuni dei cupi scenari distopici del romanzo e di promuoverli sia nell’intenzionale esaltazione dell’ignoranza, sia nell’inconsapevole immobilismo di chi la vorrebbe combattere.
L’ignoranza è forza è il terzo slogan del Socing – l’ideologia dominante nel mondo immaginato da Orwell – scritto a caratteri cubitali sulla facciata del Ministero della Verità, ma perché ci è così vicino? Perché è così attuale?
Basta semplicemente affacciarsi nel mondo social per rendersi conto di quanto la vera moda non sia tanto citare Orwell ma deridere chi apre un libro, chi si informa prima di esprimere un’opinione, chi sceglie di studiare, chi ha dedicato la propria vita alla ricerca.
Il termine “Professorone” attribuito in senso dispregiativo a chi è costretto a dimostrare che il fuoco scotta e che l’acqua è bagnata, è onnipresente, ed è indice di una sempre più bassa qualità dei dibattiti sociali, portati avanti – ironia della sorte – proprio nella piattaforma interattiva che ha richiesto lo sforzo e lo studio di un numero consistente di tecnici specializzati: il web.
I luoghi comuni secondo i quali “lavora solo chi utilizza la forza fisica” e “possiede esperienza solo chi ha la terza media perché a 14 anni era già nel mondo del lavoro e ha valore solo il sapere derivante direttamente dai nostri avi” formano il pilastro dell’ignoranza più osannata e incoraggiata.
Forse è una sorta di rivalsa non tanto di chi non ha potuto, come ad esempio i nostri nonni che nel periodo bellico e post-bellico non hanno avuto alternativa, ma di chi non ha voluto studiare, per noia o per interessi legittimamente diversi, fatto sta che l’avversione nei confronti di chi invece conosce un determinato argomento è palpabile e spesso violenta.
Perché l’ ignoranza è quindi più forte? Perché il gruppo che ne abbraccia i fondamenti è ben nutrito ma le risorse di cui dispone non le trova solo tra i suoi affiliati, esiste infatti un problema di ghettizzazione intellettuale.
Se dovessimo superficialmente suddividere gli internauti tra colti e analfabeti scorgeremmo tra loro un muro invisibile fatto di prese di posizione, sfottò e nulla più. Gli analfabeti rivendicano la loro natura e deridono i colti, i quali a loro volta deridono gli analfabeti e li classificano come casi irrecuperabili, senza speranza, di conseguenza questi ultimi restano ben saldi al loro mondo e di cambiare abitudini non ci pensano proprio.
Un cane che si morde la coda è una metafora che ben rappresenta la situazione.
L’immobilismo sembra non voler vedere né vincitori né vinti, ma probabilmente non si tratta di far vincere qualcuno, quanto piuttosto di cercare una terza via che conduce ad una sorta di compromesso.
Certo non è sostenibile mettere costantemente in dubbio ogni scoperta scientifica o quanto è già ampiamente conosciuto e dimostrato: la forma della Terra, l’efficacia dei vaccini, certi avvenimenti storici, la bontà dell’istruzione e di chi nell’istruzione ci lavora…
Ultimamente il dubbio è spesso utilizzato per esprimere con forza una negazione ma nella strada del compromesso potrebbe ritrovare la sua propensione alla curiosità, la quale a sua volta è portatrice di ricerca e conoscenza di quesiti ancora inesplorati oppure migliorabili.
Dall’altra parte proprio perché nessuno nasce imparato bisognerebbe puntare all’inclusione, alla divulgazione e alla condivisione delle conoscenze in proprio possesso, per avvicinare quanta più gente possibile ad un qualcosa che alla fine appartiene a tutti.
Alessandro Basso
Sono nato a Treviso nel 1988, nel 2007 ho conseguito il diploma triennale in grafica multimediale e pubblicitaria all Centro di Formazione Professionale Turazza di Treviso; dopo aver lavorato alcuni anni, ma soprattutto dopo un viaggio in Australia, sono tornato sui libri e nel 2013 ho conseguito il diploma di maturità al Liceo Linguistico G. Galilei di Treviso. Attualmente sono laureando in Storia e Antropologia all’Università Ca’Foscari di Venezia.
Mi piace molto leggere, senza tuttavia avere un genere preferito; i miei interessi spaziano dalla cultura umanistica alla sociologia, e in certi ambiti anche alla geologia.
Immagine di copertina: Planetoide tetraedrico, Maurits Escher, 1954