Immaginate la signora Filosofia che si reca alle Poste per ritirare la “pensione”, cioè una ricca eredità concettuale e semantica, quel giorno si fa imbustare “Capitale Umano” e ad attenderla fuori dalle “Poste” gnoseologiche del sapere umano su un motorino sgangherato se ne sta in attesa l’Economia e così tutto avviene in un baleno, Filosofia cade a terra e l’Economia sfreccia a tutta birra verso l’infinito e oltre.
Sto delirando? Penso proprio di no. Perché la storia del Capitale Umano è la storia di uno scippo perfetto.
Facciamo un passo indietro, se è vero che per decenni l’Economia, con i suoi parametri, le sue categorie e le sue impostazioni metodologiche ha fatto da padrona nel determinare la vita delle persone di recente sembra invece aver assunto una dimensione più umana, dichiarandosi apertamente attenta ai bisogni psicologici degli individui e alle loro opportunità educative. In passato, tutte le volte che abbiamo sentito o letto la parola “capitale” abbiamo subito pensato all’utopia del buon vecchio Marx, o più concretamente a come far fruttare i nostri risparmi, o ancora, se eravamo aperti ai problemi collettivi, a quali potevano essere le misure utili a ridimensionare il nostro mostruoso debito nazionale. Oggi, invece, a quella parola viene più spesso associato l’aggettivo “umano”, che suscita riflessioni ben diverse.
Visto che dobbiamo essere umanisti digitali 2.0 e retorica simile affidiamoci all’enciclopedia libera Wikipedia e andiamo a vedere cosa ci dice circa l’espressione “Capitale Umano”: “L’insieme di conoscenze, competenze, abilità, emozioni, acquisite durante la vita da un individuo e finalizzate al raggiungimento di obiettivi sociali ed economici, singoli o collettivi”. Adesso lo sentite il rumore scoppiettante del motorino che si appresta ad affiancarvi cari Filosofi?
A questo punto possiamo chiederci: come mai gli economisti si sono impadroniti di questa forma linguistica che sembrerebbe essere più competenza di filosofi, psicologi e pedagogisti? Gli economisti hanno ben capito quello che altri non avevano messo sufficientemente in rilievo, vale a dire che esiste una stretta correlazione tra benessere collettivo e Capitale Umano, che tutti gli investimenti che una comunità fa per migliorare le condizioni di vita dei propri cittadini si traducono col tempo in un aumento del reddito pro-capite. Insomma, il Capitale Umano viene considerato un investimento in un bene che produce rendimento.Molteplici studi a livello internazionale ci dicono che a un anno di istruzione in più dei lavoratori corrisponde una crescita del prodotto pro capite del 5%; e ancora, che le persone in possesso di una laurea specialistica guadagnano almeno il 50% in più di coloro che hanno soltanto un diploma. Ma non basta. Il Capitale Umano riduce anche la propensione a delinquere e produce effetti positivi sulla salute.
Perché un investimento sia produttivo è necessario, però, agire prima che i giochi siano fatti puntando decisamente sui processi educativi ai quali l’individuo viene sottoposto, quindi su scuole efficienti, docenti preparati e aggiornati, buon livello culturale familiare, supporti e iniziative per i giovani, e molto altro. Tutte cose che gli studi filosofici hanno più volte sottolineato e che sembrano sfuggire troppo spesso all’ambito dell’Economia e di chi se ne fa portavoce. Basti pensare alle numerose ricerche sull’incidenza positiva che la frequenza al nido ha sui bambini piccoli ad esempio per capire come “Il Capitale Umano” associato tendenzialmente a persone adulte sia invece strettamente legato a tutte le fasi dello sviluppo della persona, in quella sede i più piccoli non si limitano a stare fisicamente in un luogo diverso, ma esperiscono soprattutto a interagire con altri che non siano i familiari, vivendo ruoli e esperienze stimolanti. Sembra addirittura che il futuro dei cittadini dipenda, almeno in parte, dalle opportunità di apprendimento di cui hanno goduto nei primissimi anni di vita.
Nonostante a livello economico venga troppo spesso inflazionato il termine Capitale Umano è anche vero che possiamo facilmente accorgerci di come le nuove generazioni crescano spesso in una situazione di povertà educativa dove i beni materiali proliferano, ma mancano investimenti sugli aspetti dei valori che andranno a costituire la parte più intima della persona.
Perché ciò accade? Semplice, in Economia troppo spesso si esegue la seguente operazione CAPITALE UMANO=COMPETENZE DELLA PERSONA=SAPER SVOLGERE DETERMINATE MANSIONI, SAPER FARE e quindi ci si limita ad agire sull’aggiornamento delle competenze cioè sulla trasmissione del know how.
E’ chiaro che l’approccio così immaginato è estremamente limitato perché si preoccupa di travasare da una persona all’altra dei saperi, ma non dei valori, delle prospettive e delle visioni del mondo che poi costituiscono il senso profondo del nostro agire e che vanno a investire la nostra sfera motivazionale.
La Filosofia dovrebbe al posto di ritrarsi dall’ambito del Capitale Umano addentrarsi invece in esso perché è sbagliato tradurre come fanno molti in ambito economico Capitale unicamente con parametri quantitativi relativi alla competenza delle persone, mutuando erroneamente dal materialismo marxista che il Capitale sia in qualche modo qualcosa di “materiale”.
Le persone non sono automi che espletano mere funzioni, il loro lavoro è il frutto della loro visione del mondo, delle loro credenze, delle loro passioni e delle loro emozioni, ancora una volta continueremo ad approcciarci alle cose con un paraocchi o sapremo liberarci dai condizionamenti e da una retorica economica che ha ormai imbevuto le nostre scuole e le nostre aziende?
Matteo Montagner
[immagini tratte da Google Immagini]