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Il coraggio della filosofia: intervista a Diego Fusaro

In uno dei contesti più interessanti di Treviso, la chiesa sconsacrata che è parte del museo di Santa Caterina, ha luogo uno degli incontri dell’edizione 2016 del festival letterario trevigiano Carta Carbone.
L’ospite che ho deciso di intervistare è Diego Fusaro, giovane e discusso filosofo, nonché intellettuale di riferimento di una scalpitante parte di persone che vuole e sente il dovere di criticare il più fortemente possibile il contesto culturale, economico e sociale contemporaneo. Fusaro, attraverso i propri libri, le proprie lezioni all’Università San Raffaele di Milano, i propri articoli, dà voce a queste spinte coniugando temi marxisti e di critica verso la società della tecnica, l’americanismo, la globalizzazione.

Il tema del dibattito di oggi è quello del coraggio, cui Fusaro ha anche dedicato un suo libro intitolato appunto Coraggio, edito da Raffaello Cortina nel 2012. Il coraggio di cui Fusaro parla oggi, oltre che in diversi luoghi dei suoi scritti, è il coraggio della filosofia intesa appunto come critica del potere, del sistema dominante, della violenza in tutte le sue forme. Come sfondo a questo tipo di proposte e di impostazione sta una personalità e un percorso filosofico particolare, che vale la pena approfondire.

 
Lei, in modo anche controverso e non scevro da polemiche, fa della critica al sistema il cavallo di battaglia del suo pensiero e del pensiero in generale. Pensare significa essere dissidenti nei confronti del potere, di ciò che è ingiusto, ecc. C’è un modo particolare con cui un giovane può diventare un bravo pensatore o critico?

Non ho una risposta preordinata a questa domanda, anche perché presuppone che io sia un bravo critico ed è tutto da dimostrare. Io comunque consiglierei a un giovane di studiare i testi classici e di provare a pensare liberamente al di là dei condizionamenti a cui vengono sottoposti. Se dovessi dare un consiglio non richiesto direi di tornare ad Aristotele e Platone, dai giganti, vedendoli nell’espressività filosofica generale dei loro sistemi.

Una novità rilevante e molto interessante nel suo pensiero è la coniugazione di temi strettamente marxisti con temi che invece appartengono alla destra o all’area conservatrice del pensiero e che si ritrova in autori come Heidegger, Jünger, Schmitt. Qual è il terreno che li accomuna oggi?

Il terreno che li accomuna è il rigetto integrale della società della tecnica e del capitalismo. Nonostante questo, sono diverse le analisi che fanno, le diagnosi e le prospettive e proprio riguardo queste ultime mi sento ovviamente più vicino a Marx rispetto che a Jünger o a Heidegger. Per quel che riguarda però la forza critica rispetto al mondo della tecnica credo che abbiamo moltissimo da imparare anche da Heidegger e da Jünger e credo sia frutto di un condizionamento ideologico non studiare questi autori oggi.

Trova in Italia oggi dei validi interpreti o critici del mondo contemporaneo?

Li trovo ma sempre ai margini della filosofia, in verità. Penso ad esempio, senza parlare del mio maestro compianto Costanzo Preve in cui riconosco la più grande voce filosofica degli ultimi anni, di trovare spunti interessanti in Massimo Fini o in autori che non sono propriamente filosofi come Alberto Bagnai, che è un economista; trovo spunti interessanti in giornalisti, economisti e altri. La filosofia mi pare sia in una fase di congelamento ideologico.

Crede in questo senso che i pensatori più in voga all’estero abbiano da dire di più, rispetto a quelli italiani?

Ci sono all’estero pensatori interessanti anche se a volte scadono un po’ nel postmoderno. Pensiamo ad esempio a Žižek, di cui condivido la valorizzazione di Hegel, la critica radicale del capitalismo e che però poi strizza un po’ troppo l’occhio alle ricadute postmoderne del presente. Badiou è interessantissimo così come Alain de Benoist che però non è propriamente un filosofo, ed è in questo senso un po’ ai margini.

Sicuramente i cosiddetti ‘poteri forti’ o le tendenze globali che sono troppo ampie e complesse da gestire hanno un ruolo nello stato di malessere sociale attuale. Non crede però che nelle democrazie occidentali ci sia una grave mancanza di doveri da rispettare (come quello di informarsi, studiare, partecipare), che arginerebbero i mali e favorirebbero i diritti?

Certo che sì. Oggi viviamo nella società in cui ci sono solo diritti acquisibili e acquistabili e in cui tutto è merce. Ci sono solo diritti corrispondenti alla capacità di acquisto. Anche i figli oggi diventano diritti, che è una figura concettualmente assurda; oggi un diritto è la capacità di essere economicamente solventi. È una società del ‘tutto è possibile’ a patto che si abbia l’equivalente monetario corrispondente.

Infine, cosa ha significato o significa per lei fare filosofia?

Per me fare filosofia significa interrogarmi sul mio tempo cercando di coglierlo nei concetti e di porlo in relazione all’eterno, a ciò che è vero sempre. Direi che questo dovrebbe fare il filosofo.

Luca Mauceri

NOTA: Questa intervista ci è stata rilasciata domenica 16 ottobre 2016 in occasione del Carta Carbone Festival di Treviso.

[Immagine tratta da Google Immagini]

Luca Mauceri

ironico, sognatore, procrastinatore

Sono nato e cresciuto a Treviso, ora vivo e lavoro a Padova. Mi sono laureato in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dopo essermi appassionato di filosofia antica e contemporanea. Ho pubblicato il saggio La hybris originaria. Massimo Cacciari ed Emanuele Severino (Orthotes) e quando non passeggio o ascolto musica, scrivo articoli e racconti per […]

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