«Datemi un punto d’appoggio e solleverò la terra e il cielo.»
Queste celebri parole, attribuite ad Archimede, racchiudono tutto l’orgoglio e la scoperta del principio fisico della leva. In latino, questa affermazione si sintetizza con l’espressione ubi consistam, una locuzione che ha assunto il significato di punto stabile d’appoggio, base solida, fondamento sicuro da cui partire. Mi sono imbattuta in questa espressione leggendo un articolo del filosofo Vito Mancuso, pubblicato nel mese di dicembre sul suo sito e intitolato proprio Ubi Consistam. In esso, Mancuso riflette sulla domanda: qual è il mio ubi consistam? Qual è la mia filosofia di vita, il punto di appoggio che mi orienta nel mondo?
Non si parla, naturalmente, di un punto di appoggio materiale, ma di quel fondamento immateriale che la coscienza ricerca per non perdersi nel labirinto della vita. Mancuso offre la sua risposta, ma invita anche ognuno di noi a trovarne una propria.
Anche nel suo recente libro Destinazione Speranza (Garzanti 2024), egli esplora con profondità questa inquietudine umana. Parla di uno strano vuoto al centro dell’essere umano, una condizione che sembra connaturata alla nostra natura: «Nel nostro centro c’è come una specie di vuoto che fa sì che il nostro hardware (la dimensione corporea) non risulti sempre in linea con il nostro software (la dimensione psichica e spirituale). Per questo abbiamo bisogno di colmare la lacuna tra hardware e software, tra corpo e anima spirituale, tra essere ed esistere» (Vito Mancuso, Destinazione Speranza, Garzanti, 2024, pag. 45). Senza un punto fermo, la frattura tra hardware e software si amplifica, facendoci perdere prima la direzione e poi la destinazione. Quando ciò accade, il corpo si ammala, ci sentiamo stanchi, privi di energie, di voglia di fare. E, senza un porto sicuro dove andare, cerchiamo soluzioni rapide: dipendenze, illusioni o pratiche che promettono stabilità ma che spesso alimentano ulteriormente il nostro smarrimento. Dove allora trovare il nostro ubi consistam? Quella stella polare, quel porto sicuro capace di trasformare il vuoto in energia e creatività?
Federico Faggin, fisico, inventore del microprocessore e studioso della coscienza, suggerisce di considerare il vuoto come uno spazio fertile, un campo energetico dove la coscienza può emergere e svilupparsi (cfr. Federico Faggin, Irriducibile, Mondadori, 2022). A questa visione si intrecciano spunti pratici e filosofici che possono guidarci. Ad esempio, costruire una filosofia di vita orientata all’armonia tra corpo e mente. Non un esercizio astratto, ma una guida concreta verso un equilibrio dinamico che richiede attenzione costante alle scelte quotidiane: cibo, abitudini, pensieri, relazioni. La filosofia diventa una pratica di vita, una ricerca di pienezza che ci ancora e ci orienta. Il cibo, in particolare, può diventare una filosofia alimentare. Mangiare non è solo nutrirsi, ma scegliere chi vogliamo essere. La nostra alimentazione diventa un atto di consapevolezza: ciò che mettiamo nel nostro corpo influenza non solo la nostra salute fisica, ma anche il nostro stato d’animo e la nostra lucidità mentale. Scegliere cibo sano, rispettoso dell’ambiente e delle nostre necessità interiori è un atto filosofico e pratico insieme.
Questa pratica si intreccia con piccoli esercizi quotidiani di consapevolezza. Ad esempio, dedicare cinque minuti ogni mattina a scrivere su un diario ciò per cui siamo grati o le intenzioni per la giornata può aiutarci a rimanere ancorati al nostro ubi consistam. Oppure, seguire il principio del minimalismo: eliminare il superfluo non solo dagli oggetti che possediamo, ma anche dai pensieri e dagli impegni che sovraccaricano la mente. Ogni scelta deliberata diventa un mattoncino con cui costruiamo la nostra stabilità interiore. La natura e le buone letture sono altrettanti strumenti magici. Passeggiare nei boschi, immergersi nell’acqua, ascoltare i rumori della natura sono esercizi potenti per ritrovare il centro. Allo stesso modo, confrontarsi con i pensieri di maestri come Vito Mancuso, Thích Nhất Hạnh o Stefano Mancuso può offrire nuove prospettive e ispirazione continua.
Prendiamo ispirazione dagli stoici, che insegnavano a distinguere ciò che dipende da noi da ciò che non dipende da noi, o dagli epicurei, che cercavano la serenità attraverso la moderazione e il piacere consapevole. Più c’è armonia, più c’è pienezza. Più c’è pienezza, meno c’è frattura, più c’è vita autentica e radicata.
NOTE
[Photo credit Johannes Pleno via Unsplash]