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Il genocidio della memoria

Gennaio è, generalmente, il mese in cui si costruisce l’anno nuovo, si disegnano promesse che forse manterremo a metà, si scrive un copione che verrà disatteso perché ci si lascerà coinvolgere dall’imprevisto affrontando battaglie sconosciute.
Ma Gennaio è anche il mese in cui si celebra la memoria.
Esiste un giorno particolare, il 27, in cui i Paesi Occidentali si uniscono simbolicamente in un raccoglimento che attraversa la Storia e abbatte i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, ascoltando in silenzio le parole degli ultimi sopravvissuti alla Shoah ebraica, perpetrata dalla follia nazista durante la II^ guerra mondiale.

Nelle scuole le tracce dei temi convergono in questa tematica, puntuali giungono le dichiarazioni dei più importanti esponenti politici, l’Organizzazione delle Nazioni Unite si prodiga, nel 2005, con la risoluzione 60/7 proclama il 27 Gennaio: data ufficiale per le commemorazioni, l’Italia la anticipa di cinque anni ( articolo 1 e 2 della legge n°211 del 20 Luglio 2000 ).
Vengono proiettati film, si leggono libri sull’argomento… celebrazioni di rito e poi arriva Febbraio.

Durante i successivi undici mesi, si provvede tranquillamente a demolire lo spirito di concordia che si era venuto a creare con frasi che invocano ad un ritorno dello sterminio, mentre altre lo negano.
In certi casi le stesse persone che lo negano, chiedono allo spirito del suo principale fautore, di tornare per completare l’opera, generando una contraddizione in essere troppo complicata da analizzare.

Tralasciando la mera polemica sul negazionismo, volevo porre l’accento sul significato di questo Giorno della Memoria.
Abbiamo detto che si ricorda il genocidio ebraico, lo si approfondisce, lo si discute… ma quanti genocidi si sono compiuti durante gli ultimi secoli?
Chi li ha compiuti, e perché?

In passato abbiamo posto le basi del nostro europeismo, inteso come cultura occidentale apparentemente elevata, in tre continenti su cinque ( escludendo l’Antartide… non me ne vogliano i pinguini imperatore ).

Nelle Americhe scomparvero circa 100 milioni di individui, sia a causa delle malattie portate dall’uomo bianco, sia dalle sue guerre di conquista e sottomissione.
I campi di concentramento erano le riserve, territori delimitati e sorvegliati dai nuovi padroni, esperti in recinzioni e confini.
In Oceania ( Australia e isole circostanti ) la popolazione nativa crollò del 90%.
In Africa invece contiamo circa 20 milioni di vittime.

Non fraintendetemi, non è mia intenzione screditare la Shoah per porre tutti gli altri genocidi su una scala dell’orrore che ha come unità di misura, l’intensità, l’efferatezza e il numero dei morti.
Il mio obiettivo è – come al solito – quello di far conoscere a chi ne è all’oscuro, avvenimenti che riguardano da vicino anche chi lega ad un solo colore ideologico, determinati atti.

Quelli elencati precedentemente sono tutti genocidi avvenuti in ambito coloniale, ma ce ne sono altri legati alla politica, alle personalità singole ed eccentriche in tutta la loro brutalità.
Tanti stermini condotti tra l’indifferenza di molti.

Genocidio degli Armeni, un milione e mezzo di morti; Genocidio dei contadini ucraini, sette milioni di morti; Genocidio dei Tutsi in Ruanda, un milione di morti; Genocidio degli oppositori politici in Cambogia, Unione Sovietica, Cina, decine di milioni di morti.

Davanti a tutto questo, si può ancora parlare di colori politici? Si può ancora attribuire ad un unico uomo tutti i mali del mondo?
Certo, si può – e si fa continuamente – ma, prendendo coscienza appunto, si può andare oltre le classiche barriere fatte di convinzioni comuni, e ci si può interrogare sulla necessità di ricordare anche le tristi pagine scritte da noi, non solo dagli altri.
E per citare una di queste tristi pagine vi lascio una testimonianza letteraria tratta dal romanzo ‘Cuore di Tenebra’ di Joseph Conrad.

Siamo nel Congo belga di fine ‘800, gli europei hanno investito numerosi fondi nelle imprese della gomma, del legname e dell’avorio.

Marlow, il protagonista della storia, sta navigando il fiume con un battello per raggiungere un emporio commerciale situato nella foresta equatoriale, quando vengono attaccati dai nativi.

“Con una mano cercai a tastoni sopra la testa il cordone della sirena, e lanciai un fischio dopo l’altro, precipitosamente.
Il tumulto di grida rabbiose e bellicose, cessò all’istante; e poi dalle profondità della foresta si levò un lamento tremulo e prolungato di paura lugubre e di disperazione estrema, quale si potrebbe immaginare che seguisse la fuga dell’ultima speranza della terra.”

A voi ogni libera interpretazione.

Non sarà certamente uno sforzo sovrumano tirare le somme del nostro passato, aprire le porte al Gennaio di una nuova consapevolezza sociale e stabilire sani obiettivi futuri.
Ricominciare fa parte della nostra natura, e per farlo occorre sapere cosa siamo stati, in modo da non compiere l’ennesimo genocidio, quello della memoria, che spesso copre con uno strato di indifferenza il lume della ragione.

Buon 2016.

 

Alessandro Basso

Sono nato a Treviso nel 1988, nel 2007 ho conseguito il diploma triennale in grafica multimediale e pubblicitaria all Centro di Formazione Professionale Turazza di Treviso; dopo aver lavorato alcuni anni, ma soprattutto dopo un viaggio in Australia, sono tornato sui libri e nel 2013 ho conseguito il diploma di maturità al Liceo Linguistico G. Galilei di Treviso. Attualmente sono laureando in Storia e Antropologia all’Università Ca’Foscari di Venezia.
Mi piace molto leggere, senza tuttavia avere un genere preferito; i miei interessi spaziano dalla cultura umanistica alla sociologia, e in certi ambiti anche alla geologia.

é immagine tratta da Google Immagini]

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