Pur non avendo io alcuna capacità musicale (la qual cosa non desta in me né orgoglio, né fastidio), ho sempre amato l’eufonia misteriosa ed esotica delle parole e dei testi delle canzoni.
I ricordi, e le connessioni emozionali, che i sintagmi sanno rievocare negli animi sensibili, quasi uscendo dal fluire delle note (le quali, in una buona canzone, non devono essere nulla più che un palcoscenico ben costruito per le parole) superano e fortificano, con la loro caratteristica spiritualità, l’immediatezza erotica dell’atto musicale.
In quest’ottica di compenetrazione tra spirito e immediatezza, Francesca Michielin rappresenta una bella sorpresa nel panorama musicale italiano; confesso che coloro che “escono dai talent”, sono persone che hanno sempre suscitato in me un po’ di sospetto, ma non c’è vergogna nell’ammettere un errore: la Michielin merita tutto il successo avuto.
Invito tutti i lettori, non solo ad ascoltare di20, l’ultima fatica di Francesca, ma anche a meditare i suoi testi. Io, da quando l’ho fatto, ho più dubbi: Michielin conosce Kierkegaard molto più di me, che mi accosto ai suoi scritti ogni giorno, da quasi due anni.
Vorrei farvi solo alcuni esempi a dimostrazione di questa sensazione.
In L’amore esiste ascoltiamo: “L’amore non ha un senso/l’amore non ha nome/l’amore non ha torto/l’amore non ha ragione”; negli Atti dell’Amore di Kierkegaard leggiamo: “L’amore si conosce dai frutti […] esso non fiorisce né passa, ma esiste, perché non ha senso se non nel nascondimento” … notato somiglianze?
In Lontano la cantante dice: “Io amo/ mi perdo/viaggiando su un percorso a un senso/connessa ma dispersa nel mondo”, un grido di dolore per un sentimento che, a tratti, può essere irreale; sembra essere il verso successivo questa frase: “Mi viene in mente la mia giovinezza e il mio primo amore: la giovinezza era il sogno, l’amore il suo contenuto” che invece viene dai Diapsalmata.
Infine, ascoltiamo Io e te: “Fino a quando tu ci sei/il mio respiro segue il tuo/e intorno a noi si apre il cielo e porta via le paure”. Kierkegaard scrisse parole simili a proposito di Regine, annotando nel Diario: “Quando il suo sguardo, riboccante di vita e di gioia s’incontrò col mio … io me ne andai, piangendo di amarezza”, e aggiungendo: “Se avessi avuto la Fede, sarei rimasto con lei”, a dimostrazione di come, quando il cielo, e la sua bellezza, non si aprono a cancellare i timori, tutto perde senso, anche l’amore. E questo, Michielin l’ha capito prima di Kierkegaard: chapeau.
Né vi parlerò, per non apparire banale, dell’invito di Francesca ad “amare l’amore, non amare me” (Battito di Ciglia), che è praticamente la stessa verità a cui perviene Søren (Kjerlighedens Gjerniger).
L’album di20 di Francesca (mi permetto di chiamarti così: frequentiamo la stessa università e potrei essere tuo fratello maggiore … mi perdonerai) è un soave, a tratti trascinante, spaccato esistenziale sull’amore – periferico, ma non secondario – della gioventù e getta sul tema una luce sfaccettata e caleidoscopica, ma chiara.
Come Kierkegaard, anche Francesca ci racconta la spiritualità dell’attaccamento all’altro come “la vede lei” certo: ma con lei, a guardare l’esistenzialità delle cose, ci siamo anche noi, e i suoi occhi (dell’anima) sono i nostri, le passioni che racconta appaiono vere: se lei soffre siamo lì a soffrire con lei; se è felice, lo siamo anche noi.
Come Søren, anche Francesca, quando dice: “L’amore mio sei tu” non lo dice parlando di sé, ma si fa prestavoce di chiunque l’ascolti, perché tutti – in un momento o l’altro della vita – sentiamo l’irresistibile bisogno di sussurrare all’orecchio di qualcuno: “L’amore mio sei tu”. Per sommo paradosso, capiamo che Francesca e Søren ci insegnano a pronunciare al meglio questa dichiarazione di vita: la prima con le canzoni, il secondo con la filosofia.
Grazie Francesca, per prestare la tua voce al mondo. Spero che quanto stai dando ti venga in abbondanza restituito.
David Casagrande
[foto di Francesca Michielin presa da Google immagini e modificata]