«L’essere umano non è chiamato a vivere,
ma a vivere bene».
– Giuseppe Mari
Nel seguente articolo tratterò il concetto di pedagogista cristiano prendendo spunto dalla prospettiva del Professor Giuseppe Mari. In sede introduttiva è doveroso esplicitare che ha avuto una formazione filosofica ed è stato professore ordinario di Pedagogia presso l’Università Cattolica di Milano e presso IUSVE (Istituto Universitario Salesiano Venezia). Ha preso parte a numerosi gruppi di ricerca nazionali ed internazionali, tra cui Scholè (Centro Studi tra Docenti Universitari Cristiani), SoFPhiEd (Société Francophone de Philosophie de l’Education, Paris) e SEP (Sociedad Española de Pedagogia, Madrid). Per la stesura dell’articolo ho preso spunto dal suo testo Pedagogia cristiana come pedagogia dell’Essere.
Nella prospettiva che ha portato avanti il pedagogista, l’apporto del Cristianesimo costituisce uno snodo centrale nella ricerca di Senso. Il filone culturale preso in considerazione si fonda su «una fede che intimamente anima la persona»1. Questa affermazione mette in luce la possibilità di un percorso di ricerca accurato e profondo, verso la scoperta e costante alimentazione del proprio credo. Inoltre è necessario non tralasciare l’aspetto della relazionalità, che anima l’essere umano.
In secondo luogo lo studioso ha posto magistralmente in questione il fatto che il Cristianesimo viva un’«intima tensione […] tra umano e divino»2. Essa è riscontrabile sia nella dottrina della creazione dell’essere umano a immagine di Dio, sia in quella dell’incarnazione di Gesù. La dottrina cristiana è quindi fondata su un delicato equilibrio che si crea tra la polarità della secolarizzazione e quella della sacralizzazione, entrambi concezioni errate del Cristianesimo. In questo senso, lo sbilanciamento verso una parte piuttosto che l’altra porta ad uno «snaturamento dell’ispirazione religiosa cristiana la quale crede che il Verbo si fece carne»3.
Giuseppe Mari, durante la sua vita, si è interrogato sulle potenziali ricadute etiche e pedagogiche derivanti da questa prospettiva; ciò lo ha portato ad identificare la figura del pedagogista cristiano. L’idea è fondata sulla possibilità di un dialogo costruttivo e non confessionale del Cristianesimo con i vari apporti disciplinari specifici, i quali costituiscono la nostra società tecnica. Questa apertura è possibile tramite un passaggio cardine, ovvero la fondazione scientifica di una riflessione educativa «condotta da credenti ma non fondata sul postitum confessionale [comunque assolutamente decisivo per un’identificazione cristiana cattolica] bensì in analogia con le altre scienze»4. Nel caso del pedagogista cristiano la riflessione è fondata sulla Pedagogia in quanto scienza.
Il ricercatore, in maniera accorta ed equilibrata, ha prevenuto la relativizzazione dell’apporto di riferimento. Essa ne causerebbe un intimo snaturamento. In questo senso, citando Berti, scrive: «Ma che cosa si vorrebbe? […] Non solo che la Chiesa si aprisse, come effettivamente si apre, ad un pluralismo filosofico, ammettendo come compatibili con la fede una pluralità di filosofie (cosa che essa fa) ma che le ammettesse tutte, diventando in tal modo essa stessa relativista?»5.
Dall’affermazione si comprende l’intento chiarificatore ed a favore dell’idea che all’interno della società contemporanea debba essere mantenuta viva la prospettiva cristiana, poiché è eticamente e spiritualmente forte. La Rivelazione di Gesù ne costituisce un aspetto centrale e l’originalità pedagogica che quest’ultima porta è accostabile tramite il messaggio evangelico. Per Mari il Vangelo veicola contenuti educativi la cui mediazione
richiede attenzione e intenzionalità, poiché l’inculturazione cristiana portata da Gesù non deve essere intesa come «esemplarietà esclusiva [ma] deve tenere conto delle molteplici (e nuove) variabili culturali»6.
In conclusione desidero esplicitare il motivo per cui ho trattato questo argomento. In primo luogo ho scelto questo tema perché credo che il fatto di esplicitare una tensione tra due polarità che snaturano il Cristianesimo (secolarizzazione e sacralizzazione), consenta al lettore di identificarle nella sua vita personale e comunitaria. In secondo luogo credo che l’articolo fornisca una possibilità di riflessione sulla “collocazione” personale e comunitaria rispetto ai poli della alla tensione identificati sopra; la collocazione può essere bilanciata oppure sbilanciata verso uno dei due, e necessitare di un ricentramento. Infine la prospettiva del pedagogista cristiano è fattibile quotidianamente attraverso azioni solidali semplici e concrete.
Matteo Milanese
Mi chiamo Matteo Mianese, ho 22 anni e vivo a Mirano in provincia di Venezia. Nel 2016 ho conseguito il Diploma di Tecnico dei Servizi socio-sanitari presso l’istituto Vendramin Corner a Venezia. Quest’anno mi sono laureato in Scienze dell’Educazione-Educatore della Prima Infanzia presso IUSVE a Mestre ed al momento sto proseguendo con la Magistrale in Scienze Pedagogiche nella stessa università.
NOTE
1 G. Mari, Pedagogia cristiana come pedagogia dell’essere, Editrice La Scuola, Brescia, 2001, p. 260.
2 Ibidem
3 Ivi p. 261
4 Ivi p. 262
5 Ivi p. 268
6 Ivi p. 265