Era l’anno 1978 e Jean Baudrillard, filosofo e sociologo francese, pubblicava All’ombra delle maggioranze silenziose. Provocatorio, forse anche ingiusto, era l’autore del libello mentre definiva i socialisti e gli umanisti degli ingenui che parlavano di redistribuzione della ricchezza. Un progetto confuso e non attuabile a causa dei comportamenti insensati di una società passiva e non inclusiva, costituita da maggioranze silenziose di individui incapaci di amministrare con raziocinio, parsimonia e giustizia perché impegnati a neutralizzare ogni progetto sociale per la vita di ciascun individuo. Un discorso severo che appartiene ad un tempo lontano, ma che accompagna il nostro perché riconosciamo ancora quelle maggioranze silenziose, le nuove, che non riescono a gestire un progetto sociale ma non sono disposte a dimenticarlo, perché il suo spettro suscita ancora disagio, incertezza, frustrazione.
Il progetto sociale è una striatura della coscienza delle maggioranze silenziose, ma per divenire frattura nelle abitudini di sempre, negli schemi rigidi e ripetitivi riguardanti componenti fondamentali per la vita dell’individuo, può servirsi del lavoro, che consente di provvedere ai bisogni e ai desideri di ciascuno. Lavoro non solo tipicamente inteso come opportunità di fare impresa intelligente che valorizzi le specialità e i punti di forza di ciascun territorio, ma lavoro anche e soprattutto riconosciuto nella modalità flessibile da remoto.
Grande è la diffidenza nei confronti di coloro che non svolgono il proprio ruolo presso l’ufficio o la sede aziendale riconosciuta come tale. Una variabile e un segno di emancipazione per una società che oggi si scontra ancora con i vecchi stereotipi di luogo e orario di lavoro e che fatica a riconoscere, invece, i veri fattori strategici per il raggiungimento di un obiettivo, ovvero la fiducia da parte del datore di lavoro e il senso di responsabilità del lavoratore, che porterebbero beneficio prima per il singolo, poi per altri fattori determinanti per il contesto sociale quali, per esempio, l’urbanizzazione o la produzione, la medicina o l’istruzione.
Il lavoro da remoto è una forma di deterritorializzazione che, se ben sfruttata, consente una gestione ottimale del tempo, delle esigenze personali e della famiglia per contrastare la condizione di caos e conflitto delle maggioranze silenziose. La modalità da remoto è un ponte solido e sicuro per l’individuo che vuole portare verso di sé la prospettiva di obiettivi professionali, che favoriscano anche la crescita della terra in cui si vive, per nascita o per scelta. Soprattutto se si tratta di un luogo che fatica ancora ad offrire serie opportunità per percorsi professionali seri, garantiti da condizioni contrattuali che tutelino la dignità e i diritti di chi lavora. Non si tratta di uno stato di isolamento rispetto al contesto o alle dinamiche che si sviluppano quotidianamente nell’esercizio del proprio ruolo, non è da identificarsi con la perdita della capacità di relazionarsi con un collega o un responsabile o un cliente. La modalità del lavoro da remoto non esclude neanche l’opportunità di vivere esperienze importanti per la propria carriera fuori dalla terra in cui si sceglie di rimanere, stabilmente o per un po’ di tempo, spostandosi in una città per cui sia richiesta una presenza temporanea. Tale modalità prevede che si possa rendere reversibile la propria condizione e, soprattutto, garantisce una libertà fondamentale per l’individuo, ovvero quella del movimento.
Le maggioranze silenziose, distratte dalla rete dei social network, dalla messaggistica istantanea e dai sistemi di intelligenza artificiale – vere e proprie estensioni del corpo e della mente – possono ritrovare nel lavoro da remoto quella frattura fondamentale nelle condizioni statiche e rigidamente definite a cui siamo sempre stati abituati per il lavoro, mettendo finalmente in discussione valori e abitudini rassicuranti ma stringenti per le scelte di ciascun individuo.
Le maggioranze silenziose che ancora non riescono a tutelare i propri interessi e implodono, non rielaborando informazioni o eventi e il rapporto con essi, perché sono espressione di una società che, come ricorda ancora Baudrillard, soffre di eccessi, brama il fascino dello spettacolo dei mezzi che lo producono, cerca il piacere ma non si fa coinvolgere in contenuti troppo complessi da gestire. Questa società può ritrovare nel lavoro da remoto una risposta fra quelle possibili alla necessità di un progetto sociale di redistribuzione di competenze e professionalità, di conseguenza anche della ricchezza, che gradualmente non sarebbe più concentrata solo in aree già da tempo note per il benessere economico e le opportunità professionali che offrono, ma destinata anche a crescere in altri territori meritevoli di accogliere chi vi nasce o chi decide di stabilirsi per il corso della propria vita.
Rossana Rizzitelli
Laureata in Lettere e Lingua e Letteratura italiana e in Editoria. Lavora come consulente in ambito IT. Ha un piccolo kurzhaar di nome Björn ed è tifosa della SSC Bari. La accompagna da tutta la vita l’amore per i libri, la prima chiave di lettura e comprensione delle vicende e dei fatti del mondo. Per lei non c’è nessun luogo più bello e confortante dell’alternanza fra il bianco e il nero della carta stampata.
NOTE
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