Il Simposio lo ricordiamo tutti per il suo tema principale, l’amore. Ma proviamo a far luce su qualcosa di diverso: una serata spensierata, fra amici, nell’Atene del V secolo a.C. Non così distante da come la potremmo trascorrere noi oggi ma diversa abbastanza da insegnarci qualcosa di nuovo.
Immaginatevi Socrate vestito tutto elegante. È ben lavato, ha una tunica nuova e ha i sandali ai piedi, cosa rara per lui che cammina sempre scalzo. Insieme ad Aristodemo, suo allievo e amante incontrato lungo il cammino, si dirige a casa di Agatone, che quella sera dà un banchetto fra pochi amici. Gli ospiti mangiano sdraiati su divani imbottiti, uno accanto all’altro. Cantano e svolgono cerimonie in onore degli dèi. Quando arriva il momento di bere è Pausania, abile retore ateniese, a prendere parola: “Che ne dite – dice pressappoco – di bene con moderatezza, visto che anche ieri abbiamo esagerato?” Aristofane, famoso commediografo ateniese, ammette di aver superato il limite la sera prima e si dichiara d’accordo. Agatone, il proprietario di casa, confessa senza vergogna di avere poca resistenza al bere. Il medico Erissimaco, infine, sconsiglia l’alcol in nome della salute e propone un’alternativa: la conversazione.
La conversazione dei filosofi non è come potrebbe essere oggi la nostra, seduti comodi attorno alla tavola a dire ciò che ci passa per la testa. È un’attività seria, per loro, e come tale va affrontata: con un tema e regole a guidarla. I sofisti, spiega Erissimaco, hanno intessuto elogi di molti dèi, ma nessuno di loro ha ancora fatto un encomio a Eros. Si parlerà di Eros, quindi, perché il dio se lo merita. L’argomento di conversazione non è casuale, ma dettato dall’etica. Chi avrebbe voglia, oggi, di parlare di ambiente a una serata spensierata fra amici? Eppure, viene da pensare, certi temi hanno una valenza etica e bisogna dargli spazio di parola, che ci piaccia o no.
Il modo di procedere viene chiarito assieme al tema: ognuno pronuncerà un discorso su Eros, il più bel discorso che gli venga in mente. Una volta concluso, la parola passerà a chi si trova alla destra dell’ultimo oratore. Inizia Aristodemo, l’ospite di casa. Continua Erissimaco, poi Aristofane, infine Socrate.
Parlano di molti argomenti: del mito dell’androgino, di omosessualità, dell’amore come forza capace di farci toccare la nostra mancanza, ma anche di darci lo slancio per provare a colmarla. Ma più di cosa dicono, già ampiamente conosciuto, è interessante come lo dicono.
I turni di parola sono sacri quanto gli dei sull’Olimpo: nessun filosofo prova a parlare sopra uno dei compagni o a interromperlo. Ogni oratore, quando è il suo turno, elogia chi ha parlato prima di lui, dicendo che difficilmente il suo discorso sarà all’altezza dei precedenti. Pensiamo ai talk-show di oggi, in cui il dialogo ha il solo scopo di convincere un pubblico. Ma anche il nostro semplice interagire quotidiano, in cui si attende che l’altro termini di parlare solo per iniziare a parlare noi. Casi in cui l’ascolto ha poco valore e il dialogo è un ring in cui ci si batte per affermare ognuno la propria identità.
È raro, oggi, considerare l’amicizia una cosa seria. La precarietà che ci attanaglia ci chiude a guscio in noi stessi, portandoci a usare le relazioni come valvola di sfogo alla fine di giornate stressanti. Con gli amici ci intratteniamo, ci divertiamo se va bene, posiamo per qualche ora lo sguardo altrove. Con quelli più stretti riusciamo magari a parlare di ciò che viviamo, sveliamo un po’ della nostra interiorità. L’amico stretto è colui che mi aiuta, con il suo sguardo e le sue parole, a dare un senso alla mia presenza nel mondo. Quello che però abbiamo perso, fra amici, è la capacità di mettersi a guardarlo insieme, il mondo, e di provare a capirlo (e a cambiarlo). Pietro del Soldà, nel libro Sulle ali degli amici (Marsilio 2020) dipinge l’amicizia come “cemento della polis”: il legame che mi permette di uscire da me stesso per occuparmi di questioni politiche. Nell’antica Grecia gli amici erano legati da un impegno, ci racconta, che aveva come oggetto d’investimento il bene comune.
Il Simposio non è solo idee sull’amore. È anche una serata, otto amici che all’alcol scelgono la parola, la necessità etica di affrontare un tema che riguarda tutti. Ci insegna che in amicizia i due momenti – leggerezza e dibattito, vino e filosofia – si alternano senza mai escludersi. E ci invita a chiedersi se, nelle nostre amicizie, siano presenti entrambi.
Giada Finucci
Ama le parole, tanto quanto lo spazio bianco tra loro. Ha un pensiero che respira in profondità e che attraverso la scrittura cerca di cogliere e portare in superficie. È laureata in Psicologia Clinico-dinamica all’Università di Padova e diplomata presso i Master in Scrittura alla Scuola Holden. Lavora come docente di Filosofia e Scienze Umane in un liceo di Torino.
NOTE
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