Credo non accada molto spesso di dedicarsi alla lettura di un libro accorgendosi, anche un po’ per caso, di possedere come lettrice o lettore la stessa età anagrafica dell’autore o dell’autrice nel periodo di stesura per quello specifico scritto. A me è capitato, qualche tempo fa, con Ecce Homo. Come si diventa ciò che si è di Friedrich Nietzsche composto nel 1888.
La consapevolezza di quella inusuale oltre che casuale coincidenza d’età, tra chi scrive e chi legge, trasformò la mia lettura in una sorta di confronto immaginario con un coetaneo d’eccezione. Sicché, mentre procedevo nel racconto della sua autobiografia, mi pareva quasi che i pensieri espressi dal filosofo Nietzsche superassero la normale relatività della sua prospettiva culturale e del suo contesto storico e giungessero fino a me, nel XXI secolo, carichi di un senso e di un significato immune dalla parzialità a cui solitamente li costringe il tempo. E tra questi suoi pensieri autentici, perché profondamente sentiti e sinceri, ve n’è uno su cui vorrei soffermarmi e condividere alcune riflessioni.
Scrive Nietzsche nel suo capitolo intitolato “Perché scrivo libri così buoni”:
«In definitiva, nessuno può trarre dalle cose, libri compresi, altro che quello che già sa. Chi non ha accesso per esperienza a certe cose, non ha neppure orecchie per udirle» (F. Nietzsche, Ecce Homo, 1991).
Con queste due brevi e risolute asserzioni, Nietzsche offre l’occasione alle sue lettrici e ai suoi lettori di riflettere più attentamente sulle caratteristiche del nostro modo di imparare. Egli infatti, in queste poche righe, allude a una immagine del conoscere interattiva e selettiva dove la persona che impara non subisce passivamente e indistintamente tutto quello che gli viene proposto; questo perché, nella dinamica del suo apprendimento, la persona chiama in causa quello che già sa o quello di cui ha già avuto esperienza. Potremmo dire che, in effetti, chi impara non si trova mai propriamente nella condizione concreta di una tabula rasa pronta e disponibile a colmare meccanicamente le sue lacune conoscitive, ma che è sempre la singolarità della sua persona a esserne coinvolta.
Possiamo ora appuntare due ulteriori riflessioni molto importanti per la comprensione del nostro modo di imparare.
La prima, che ha il valore di una semplice constatazione, riguarda la nostra capacità deduttiva che, diversamente da come si è soliti pensare, non si presenta come una abilità automaticamente espansiva bensì personalmente selettiva. Se infatti proviamo a riflettere sulle nostre deduzioni possiamo osservare come esse non nascano semplicemente dalla lettura o studio di un testo. Se fosse veramente così, l’uguaglianza delle nostre letture e dei nostri studi determinerebbe da sola anche l’uguaglianza delle nostre riflessioni. Ma, nella realtà, possiamo riscontrare che non avanziamo mai nel nostro apprendimento in modo tra di noi uniforme proprio perché le nostre deduzioni, le quali caratterizzano la nostra personale crescita conoscitiva, non si trovano inscritte a priori, una volta e per sempre, nel sapere trasmesso dai testi. Quando impariamo noi non rendiamo esplicite deduzioni di per sé implicite, bensì la singolarità del nostro patrimonio conoscitivo e delle nostre esperienze di vita veicola una selezione, più o meno consapevole, tra la disponibilità e la varietà logica dei nostri pensieri.
La seconda – che può dare avvio a una pratica, ora, poco diffusa – riguarda la nostra capacità di comprensione che, diversamente da quanto si è soliti porre attenzione, può svilupparsi al crescere delle nostre esperienze di vita, e per questo migliorare con l’aumento graduale dell’età. Infatti, gli avvenimenti della nostra vita conducono a un ventaglio interiore che può predisporci a un ascolto più partecipato, e quindi a una comprensione più ampia e sfaccettata. Di conseguenza, accostarsi in età matura ai pensatori e alle pensatrici della nostra storia culturale non può che essere benefico per la nostra consapevolezza interiore, perché la gamma dei nostri vissuti agisce un attrito in grado di generare lo sdoppiamento empatico dell’immaginazione.
Detto questo, solo una piccola avvertenza sul carattere del nostro bagaglio conoscitivo ed esperienziale che, in quanto perno e motore del nostro apprendimento, potrebbe condurci a liquidare troppo in fretta quelle letture che, in un dato momento, ci risultano troppo lontane e poco familiari. In questi casi, è bene pazientare e cercare qualcosa che ci aiuti ad attutire la distanza perché ogni grande pensatore e pensatrice ha qualcosa di profondo da dirci. Capire questo qualcosa significa scoprirne l’umanità che è, insieme, la loro ma sempre anche la nostra.
[Photo credit Kimberly Farmer via Unsplash]