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Innovare e perpetuare sono due facce della stessa medaglia?

Desidero fare una riflessione su una questione che da un po’ mi fa riflettere ed alla quale cerco di dare una risposta, una questione che pongo a quanti possono essere interessati all’argomento e dai quali mi piacerebbe ricevere delle risposte in un confronto che potrebbe risultare sicuramente molto utile.

La questione è questa: mi chiedo cosa fa sì che le persone prima di ricoprire determinate cariche e ruoli di importanza nell’ambito di un organismo si dimostrino essere estremamente vivaci, propositive, stimolanti, ricche di idee, ma non appena si insediano ottenendo una posizione di rilievo in quello che può essere un Partito o un Ente è come venisse loro meno quella carica propulsiva di idee, quella volontà di cambiare, la forza stessa che li contraddistingueva e che li faceva emergere tra tanti altri.

Per prima cosa mi chiedo se questo è qualcosa di inevitabile, se fatalmente debba succedere. Poi mi chiedo se dipende dalla persona in sé o se dipende dalla situazione in cui viene inserita. Parlavo prima di Partiti e di Enti, ma purtroppo questo stato di cose si evidenzia anche nei movimenti che quando si inseriscono in situazioni strutturate finiscono come per perdere lo slancio, e si appiattiscono in ruoli già visti, in reazioni scontate, finendo per dire le cose banali che prima erano costante oggetto delle loro critiche nei confronti degli altri.

Dato che molteplici sono le personalità, le appartenenze sociali, le preparazioni culturali eppure questo pericolo di appiattimento continua a riproporsi evidentemente non può relegarsi il tutto alla persona, all’individuo, anche se sicuramente parte della responsabilità è da attribuirsi di certo alle persone. Ma per quale motivo comunque non pare esistere e resistere un carattere così forte da non farsi fagocitare da questo stato di cose?
Di certo tutto questo accade a causa anche di situazioni contingenti che fanno sì che mentre stando all’esterno di un certo meccanismo se ne sappiano individuare i difetti per proporre delle possibili soluzioni, una volta che si sia riusciti a farne parte si finisce per essere elemento di quegli ingranaggi fino al punto estremo di esserne schiacciati. E’ molto difficile mantenere il giusto distacco iniziale e la necessaria integrità perché facendo parte dell’apparato e ricoprendone un ruolo importante si deve rispondere a fin troppi referenti, è necessario ad un certo momento smussare gli angoli, accettare qualche compromesso, mettere insieme punti di vista a volte fra di loro agli antipodi pur di riuscire a portare a termine un progetto che si ritiene valido.

Quando si diventa parte del potere scatta inoltre automaticamente un istinto di conservazione, ormai si è parte del sistema e quindi si cerca in tutti i modi di perpetuarsi. La storia ci ha insegnato che irrimediabilmente anche le “rivoluzioni” si trasformano ben presto in “conservazione” del proprio potere.

Tutto ciò mi porta quindi sconfortato a chiedermi: sarà mai possibile entrando in tali dinamiche riuscire a realizzare quanto si ritiene giusto e nel contempo continuare a essere di stimolo per sé e per gli altri? Se questo non fosse possibile si tratterebbe di rassegnarsi ad una realtà che inevitabilmente diventerà ripetitiva, grigia, conformata, ma questo vorrebbe dire accettare di rinunciare per sempre ai propri sogni, vederli solo come utopie, come qualcosa di pensabile, ma assolutamente di non realizzabile.

La chiave del problema sta tutta qui, nel trovare la strada per riuscire a cambiare le cose, non solo nel proprio piccolo, ma soprattutto quando si hanno delle responsabilità, anzi a maggior ragione quanto più importanti siano tali responsabilità, forse questo consentirebbe di ridare agli altri, a chi ci ha creduto e magari votato non solo la speranza, ma la reale certezza che si riuscirà a realizzare i sogni, modificando concretamente in meglio le condizioni di vita delle persone che hanno creduto in noi e non solo di quelle.

Matteo Montagner

[ immagini tratte di Google Immagini]

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