Azar Nafisi è scrittrice e anglista iraniana ma residente da molti anni negli Stati Uniti. Famosa in primis per il suo romanzo del 2003 Leggere Lolita a Teheran, vero e proprio caso letterario e pietra miliare della letteratura contemporanea, Nafisi ha dedicato parte della sua vita al racconto di quella nazione e di quella vita tra le due Rivoluzioni. L’abbiamo incontrata a Pieve di Soligo, a margine di un incontro davvero emozionante, e abbiamo potuto rivolgerle alcune domande.
Giorgia Favero – Lei ha affermato che i regimi totalitari – come accaduto proprio recentemente in Iran – iniziano il loro controllo repressivo su tre elementi: cultura, minoranze e donne. Perché proprio questi?
Azar Nafisi – Lo schema di pensiero totalitario ha paura del cambiamento e della differenza, per cui questi tre elementi – donne, minoranze e cultura – offrono ciascuno diversi punti di vista sulla vita e su ciò che la società dovrebbe essere. Loro hanno paura a dividere il potere con loro e al contempo hanno paura del loro potere, ed è per questo che sono così crudeli con queste categorie.
Giorgia Favero – In Italia godiamo di una forma di governo democratica, eppure facciamo quotidiana esperienza di mancati diritti e ingiustizie che dovrebbero farci protestare e riempire le vie delle nostre città, come succede in Iran. Penso – tra gli altri – ai femminicidi, le morti sul lavoro, l’incapacità di gestione dei flussi migratori e il cambiamento climatico. Nel suo phamphlet “Indignatevi!” Stéphan Hessel invitava all’azione, eppure noi sembriamo indignati ma non così tanto. Perché secondo lei?
Azar Nafisi – Nelle democrazie abbiamo raggiunto il punto in cui siamo troppo comodi e a nostro agio, tutto quello che vogliamo è la comodità. Qualsiasi cambiamento non è confortevole. Per questo abbiamo abbandonato la lotta quotidiana per la libertà, la democrazia va nutrita e alimentata, infatti una volta non esisteva. Le persone dovrebbero informarsi e vedere quante persone sono morte per consentirci di vivere come stiamo facendo: non dobbiamo dimenticarci che i nostri diritti prima non esistevano, e il fatto che adesso li abbiamo significa che possono ancora toglierceli.
Giorgia Favero – Lei sostiene spesso che i libri possono trasformare la vita, o che almeno è quello che è successo a lei quando era bambina. Per esempio le permettevano di viaggiare in tutto il mondo senza lasciare la sua cameretta a Tehran. Citando Primo Levi, lei sostiene che i libri danno dignità all’essere umano perché raccontano e registrano nella storia dei racconti che, per quanto terribili, non possono essere dimenticati. Anche oggi, dopo tanti anni, pensa che i libri sono spazi aperti per la libertà?
Azar Nafisi – Assolutamente, l’atto di scrivere e l’atto di leggere sono entrambi atti di liberazione. C’è sempre il desiderio di conoscere nuove cose nel senso stesso della libertà. Hai citato Primo Levi, c’è un’altra sua citazione in cui dice che scrive per poter riconnettere la comunità umana, per cui penso che scrivere e leggere siano modi per essere messi in comunicazione con persone con cui non saremmo mai potuti esserlo, ed è molto importante questo perché i regimi totalitari rubano le storie, le storie di tutti, ci privano della nostra identità. E anche se la tua storia è piena di morte e dolore, e si rifiuta di parlare di una realtà diversa, vieni notato anche per questo e questo ti rende più forte.
Giorgia Favero – Abbiamo detto che i libri e la letteratura parlano di altre persone e dei loro mondi. Per permetterci di conoscere meglio l’Iran e il suo popolo, le vorrei chiedere di condividerci una storia o una poesia iraniana che possano darci un indizio della forza, bellezza e gentilezza dell’Iran, anche oggi e soprattutto oggi.
Azar Nafisi – C’è molta sensualità nella poesia iraniana, in effetti posso dirti che ce n’è anche nel cibo: il colore, i sapori… ogni piatto iraniano è un capolavoro, e quella sensualità c’è anche nella poesia iraniana, per cui diventa una celebrazione della vita, diventa la comprensione che la vita è molto breve e fugace, e tutto quello che abbiamo sono i nostri ricordi di quella vita, e questi sono trasmessi attraverso la poesia e la letteratura. Mio padre mi diceva sempre che la nostra nazione è molto antica ed è stata invasa molte volte, ma ciò che ci dà un’identità come iraniani è proprio la poesia: per migliaia di anni questa poesia è stata il filo che unisce al presente. Per questo il regime, quando ha cominciato a distruggere il passato, come la statua dello scià, non è riuscita a distruggere le statue dei poeti: il popolo non lo ha permesso. Questo significa che i re possono cambiare ma i poeti no. E questo è ciò che rende la cultura iraniana così ricca, perché la poesia resta, persino adesso.
Giorgia Favero – Perché secondo lei non c’è la stessa valorizzazione della poesia e della letteratura nei paesi occidentali, nelle democrazie?
Azar Nafisi – Sì, ed è un peccato, perché siamo diventati troppo indifferenti. Le democrazie sembrano celebrare l’ignoranza, abbiamo politicizzato tutto. Se non piace la poesia, se non dice quello che vogliamo ascoltare, la rifiutiamo mentre il punto sta proprio nell’ascoltare quello che non si vuole ascoltare. Per questo penso che questi siano tempi complicati e pericolosi per le democrazie.
[Photo credits: Marina Montedoro (Facebook), Una collina di libri]