E io la mia vita ho sempre cercato di viverla proprio così, a costo di rompermi il naso per stare davanti, in prima linea – ma senza velleità – con una gran voglia di fare, di arrivare al cuore delle persone per quello che realmente ero, e con la speranza di lasciare la mia piccola impronta.
Così scrive Red Canzian all’interno della prefazione della sua autobiografia “Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto”; una presentazione che trasmette l’estrema profondità del grande artista e la sua indiscutibile umiltà. Un artista a trecentosessanta gradi, completo e mai banale. Sognatore in grado di concretizzare i suoi obiettivi, ha fatto della musica la sua prima ispirazione di vita, lasciandosi accompagnare proprio da Lei nel suo entusiasmante percorso.
E nessuno può raccontarsi meglio di lui stesso, attraverso la nostra intervista.
– Red Canzian, un nome che corrisponde a talento, passione, che è inevitabile associare alla musica; chi c’è dietro al grande artista? –
Una persona estremamente semplice che però non smette mai di sognare. Quando non lavoro, mi piace condurre una vita assolutamente normale; vado a fare la spesa, mi dedico alla cura delle mie piante, passeggio con mia moglie. Tuttavia, anche nella mia quotidianità, mi accompagna questo “virus del sogno”, grazie al quale io continuo a pensare e a creare piccoli progetti dentro di me; progetti che rappresentano ciò che mi tiene vivo e mi riescono a far gioire di tutto quello che mi circonda. Sono estremamente curioso e ho sempre pensato che chi sogna di giorno, impara più cose di quelli che sognano di notte. Mi piace volare, sempre. Sempre “A un passo dalle stelle”, come la canzone che ci sarà nel prossimo album che ho dedicato a mia figlia Chiara, che è uguale a me. Infatti, io e lei siamo sempre “a un passo dalle stelle”.
– Inizia a suonare la chitarra da autodidatta quando aveva tredici anni: da quel momento al 1972, anno in cui è entrato a far parte dei Pooh, come si è evoluto il suo percorso? –
Mi ero fatto regalare una chitarra acustica da papà, che lui comprò a 5000 lire e la pagò a rate perché non potevamo permetterci di più, essendo una famiglia molto povera. Con quella cominciai a “strimpellare” e al tempo stesso mi dedicavo già al canto, perché amavo cantare già allora. Partecipai a moltissimi festival della mia zona, tra cui quello organizzato dalle cantine sociali di Conegliano Veneto “lo stroppolo d’oro”, presentato da Pippo Baudo; quel festival, già discretamente importante, lo vinsi cantando “Yesterday”. Allora non avrei mai immaginato che quarantacinque anni dopo avrei incontrato l’uomo che l’aveva scritta e che avremmo realizzato insieme un filmato per il comportamento etico nei confronti degli animali; abbracciare Paul McCartney è stata una grande emozione, è stato qualcosa di meraviglioso nella mia vita.
Ho sempre lavorato per farcela: io non credo alla fortuna, ma credo agli aiuti che si possono dare al destino. Prima di me i Pooh hanno visto esibirsi cento basisti, sicuramente molto più bravi di me, che però probabilmente non erano pronti. Io ho aspettato per anni la mia occasione; quando è arrivata io ero pronto.
Credo che questo sia il segreto del successo: quando ti viene a prendere, devi farti trovare pronto.
– I Pooh: tra i più famosi a livello italiano: come può descrivere questa esperienza? Cosa le ha lasciato? –
È stata ed è tuttora un’esperienza fantastica, un progetto meraviglioso che mi ha fatto crescere e mi ha fatto diventare uomo. Se non ci fossero stati i Pooh probabilmente molte cose non avrei potuto farle e sono molto felice di aver vissuto questa esperienza e di continuare a viverla; adesso ci prepareremo al cinquantennale l’anno prossimo, per cui non potrei definirla che come una bellissima avventura.
– C’è, nel panorama musicale odierno, un gruppo che somigli ai Pooh? In altre parole, chi sono i “nuovi Pooh”? –
I tempi sono cambiati, non si ripeterà più una cosa così, perché socialmente non ci sono più i presupposti per un fenomeno così bello. Sicuramente i Negramaro sono i più interessanti ad oggi, e soprattutto quelli che sentono maggiormente il significato del gruppo, del vivere in gruppo.
– Le sue esperienze da solista, invece, da cosa sono state caratterizzate? –
Un uomo con una fantasia viva come la mia non può rimanere sempre dentro ad uno schema. Per quanto lo schema sia meraviglioso, come quello dei Pooh, io ho bisogno di provare altre esperienze; come ad esempio la mia passione per i bonsai, per i libri sulla natura, per i quadri, per tutto ciò che mi garantisca la possibilità di tenere in movimento l’anima. Detesto la ruggine, io sento costantemente il bisogno di progettare qualcosa di nuovo.
– Nel 2010 ha dato vita alla Fondazione Q, qual è la filosofia della fondazione? –
Cerchiamo l’eccellenza. Quell’eccellenza che molto spesso il sistema non approva perché è troppo eccellente, e quindi non commerciale. Io ho cercato il talento puro per la mia fondazione.
Ho prodotto un album di un quartetto d’archi, “Archimia”, a cui ho fatto suonare il rock: è un connubio innovativo, stupendo, ma al tempo stesso poco commerciale. Sto producendo l’album di un ragazzo che suona una chitarra con tre manici e quarantanove corde che si è fatto costruire lui, si chiama Paolo Schianchi; stiamo preparando una Suite di un pezzo di Jimi Hendrix di dieci minuti in cui si inizia col liuto medievale e si arriva alla chitarra elettrica passando attraverso tutti i tipi di chitarre.
Quando mi vengono queste idee forse dovrebbe esserci qualcuno a darmi una botta in testa e dirmi: “Facciamo qualcosa di normale, una canzone”; eppure è impagabile vedere l’espressione di questi ragazzi quando incontrano una persona che chiede loro di far sentire chi sono e non chi dovrebbero essere.
La filosofia di fondazione Q è questa, ma non mi sono occupato soltanto di scouting di musicisti. Ho fatto fare la copertina di un album dei Pooh ad una ragazza che veniva a fare le foto da fan ai concerti; ho riscontrato in lei la capacità di scattare la foto nel momento perfetto della canzone. Ho fatto realizzare ad un ragazzo un libro di 200 pagine che racchiude la storia dei Pooh a fumetti.
Effettuo una ricerca a trecentosessanta gradi di chi ha talento, quel talento che un po’ viene rifiutato e che un po’ fa paura: quando sei veramente bravo puoi permetterti di dire a chi ti insegna quando sbaglia, e questo spaventa. Ma io ho la sindrome del curioso; nel momento in cui incontro qualcuno che mi può insegnare qualcosa di nuovo, io sono contento. Non si finisce mai di imparare.
– Quali ritiene siano le caratteristiche vincenti, al giorno d’oggi, per un giovane che vuole fare strada nel mondo della musica? –
Purtroppo il mondo della musica odierno è troppo collegato ai talent show, che non credo siano la strada giusta e definitiva.
Per fare un mestiere devi fare esperienza; adesso si parte da zero e si arriva a cento senza l’esperienza, rimangono in pochi perché sono talentuosi a prescindere dal programma a cui hanno partecipato. Credo che la fondazione potrebbe essere di grande aiuto ad un talent, perché lavorerei per far crescere i ragazzi. Il successo di chi si impegna e non emerge attraverso un talent è molto meno immediato, ma probabilmente molto più duraturo.
– Artista si nasce o si diventa? –
Artista si è.
Molto spesso si fa fatica a diventare artista, proprio per il carattere o per non riuscire ad interpretare questo mestiere come andrebbe interpretato. Ci sono musicisti grandiosi che non hanno mai raggiunto il successo perché non hanno interpretato questa esperienza come un lavoro.
Io credo faccia più successo l’artista semplice e genuino che accetta anche quei piccoli squilibri della sua creatività accompagnandosi al tempo stesso con chi deve guidare la macchina: se vuoi fare l’artista e guidi bendato, prima o poi andrai a sbattere.
– Nietzsche diceva che senza la musica la vita sarebbe un errore; lei concorda con questa affermazione? –
Amo quest’affermazione, come ne amo altre. Benedetto XII diceva che quando si riesce a scrivere una canzone dal cielo Dio ti ha sorriso; Sant’Agostino affermava che chi canta prega due volte, per cui penso che la musica abbia tanti effetti importanti e benefici.
Un ragazzo che fa musica diventa capace di ascoltare gli altri, si costruisce un ordine mentale, è più sensibile e romantico rispetto a quello che vive. Il musicista trova ispirazione e vede le situazioni diversamente dagli altri, è più attento a quello che vive. Nel mio ultimo album, ad esempio, ho scritto un pezzo ispirato dall’osservazione degli aceri che si rispecchiavano nell’acqua; per una persona “normale” forse non sarebbe stato così interessante, ma per me che sono un musicista è stato speciale. Noi siamo così, forse siamo noi quelli “strani”, ma riusciamo a vedere un significato ed un’ispirazione in ogni cosa che agli altri appare nella norma.
– Platone diceva che la musica è una legge morale che dà un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza, e la vita a tutte le cose e rispecchia molto ciò che trasmette Lei quando parla di musica. In passato questo pensiero era più radicato, perché il musicista viveva per la musica. Oggi le cose mi sembrano cambiate, secondo lei? –
La cosa che mi intristisce è che ogni tanto incontro dei ragazzi che chiedono soltanto di apparire, non di capire. E’ la musica a dirti quando sei pronto, non sei tu a doverle chiedere il successo.
La Musica è la Musica.
Mio figlio suona otto ore al giorno non soltanto per esercitarsi, ma soprattutto per mettersi alla prova, per capire le possibili imperfezioni, si prepara ogni giorno per quello che vuole sia il suo mestiere: essere un batterista di successo. Ha fatto tournée molto importanti perché è uno che, pur essendo giovane, è richiesto per la sua grande musicalità. Mia figlia Chiara ha fatto corsi per insegnare canto, curerà tutti i cori durante il mio tour, ha sempre studiato molto per la realizzare la sua passione. Porto questi esempi per spiegare che i miei figli non sono musicisti perché sono figli d’arte, ma perché ci hanno lavorato e ci lavorano costantemente con passione e hanno saputo far crescere le loro qualità reali, come dovrebbe fare ogni giovane musicista.
Se si vuol intraprendere una strada, si deve realizzare nel modo giusto, con costanza e impegno; la società di oggi insegna, molto spesso, ad essere popolare e non capace.
– Ci sono stati, nel suo percorso, momenti in cui si è sentito scoraggiato o avrebbe rinunciato? –
No, mai. Non avrei mai potuto fermarmi: smettere di fare il musicista sarebbe stato come smettere di vivere. La musica è parte di me, io amo questa vita.
– In una carriera di enormi soddisfazioni, quali sono, secondo Lei, i progetti ancora da realizzare. Qualche sogno è rimasto nel cassetto? –
Soltanto cassetti? Ho i bauli pieni, a dir la verità. Sto preparando una mostra di pittura dal titolo “Grandi al 100%”, dedicata a tutti i grandi della musica che hanno attraversato la mia vita; il formato dei quadri sarà proprio 100×100, come la grandezza di questi artisti e vorrei devolvere il ricavato in beneficienza. Il 28 ottobre 2014 uscirà il mio nuovo album, e quest’estate girerò col mio spettacolo che si chiama come la mia biografia “Ho visto sessanta volte fiorire il calicanto” in cui ripercorro tutta la musica della mia vita. Nel 2015 ci prepariamo, con i Pooh, al nostro cinquantennale e al nuovo album e relativa tournée.
I progetti da realizzare, come vedete, sono ancora tanti. L’importante è che i sogni abbiano un contorno, se sono nebulose non li fermi: cerco sempre di delimitarli per poterli realizzare.
– Ultima domanda, dedicata ai nostri lettori: cosa pensa della filosofia? –
Ritengo sia la maniera giusta per interpretare i nostri comportamenti e dovrebbe rappresentare, al tempo stesso, la maniera giusta per correggere quelli sbagliati e imparare dai nostri errori. Mi piaceva molto anche quando frequentavo psicologia a Padova e oltretutto sono un patito di aforismi, anche nel mio libro ogni capitolo inizia con un aforisma.
E’ un bel modo di affrontare ogni problematica traendo spunti e insegnamenti proprio dalla filosofia.
La musica è l’essenziale dell’uomo, il suo sguardo sul mondo.
In questo celebre aforisma di Schopenhauer possiamo racchiudere tutta l’esperienza di Red Canzian, il quale ha fatto della Musica la propria ragione di vita, la musica è essa stessa la sua vita, il suo modo di guardare e osservare il mondo, gli eventi, gioiosi o dolorosi che siano. Gli occhi dell’artista, altro non sono che un filtro sulla realtà, percepiscono quella profondità del mondo e delle cose più semplici, che noi tutti non riusciamo a cogliere, ed è ciò che permette di costruire un successo vero e proprio, non quello basato sulla superficiale popolarità, ma quello di essere, in ciò che si fa, un “Numero Uno”, creandolo con le proprie mani, perché in grado di essere e non di dover essere.
La musica, astratta da ogni significato estetico, e guardata da un punto di vista esteriore ed empirico, altro non è che un modo per afferrare direttamente e in concreto, le relazioni più complesse dell’essenza metafisica del mondo, così Schopenhauer descrive la Musica, come avente quella capacità di far parlare il mondo e di mettere l’uomo in contatto con le radici della vita.
La musica non parla di cose, ma soltanto di gioia e di dolore, che sono le uniche realtà per la volontà: perciò essa parla così intensamente al cuore, mentre nulla ha da dire direttamente alla testa.
La visione di Schopenhauer viene sintetizzata anni dopo da Nietzsche, per il quale la musica è la manifestazione della natura dell’uomo, espressione dei nostri desideri, impulsi, forza vitale e delle nostre passioni. Essa risulta diversa da tutte le altre arti perché non è immagine dell’apparenza “bensì immediatamente immagine della volontà stessa”. In Schopenhauer e in Nietzsche ritroviamo il grande potenziale che la musica tutt’ora possiede, quello di immetterci immediatamente, senza rimandare a realtà esterne, al significato più profondo delle cose e dell’esistenza.
Grazie Red!
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[Immagini concesse da Red Canzian]