Giudizio del Kantuccio analitico a priori.
Osservate il cantuccio appena uscito dal forno. Anzi no. Non osservatelo, non annusatelo, men che meno assaggiatelo. Non fate nulla che implichi i cinque sensi. Ancor di più: mettete da parte tutto ciò che avete mai esperito di un cantuccio.
Fatto? Bene. Cosa sapete di lui?
Il nome, innanzitutto. Si chiama cantuccio, dal latino cantellus, pezzo o fetta di pane, e questo ci dice che sicuramente il cantuccio sarà una parte, non un intero. Non conosciamo la sua grandezza né i suoi contorni, ma sappiamo che non avrà una forma intatta. Sarà la parte di un qualcosa che prima era unito. Che le cose stanno così è già contenuto nel nome: il cantuccio è in pezzi, ribadirlo è solo spiegare qualcosa che era già nel soggetto stesso (un po’ come spiegare a qualcuno che gli scapoli non hanno moglie).
Proseguiamo.
Avete notato? Per quanto ci sforziamo di pensare al cantuccio mettendo a tacere l’esperienza, non riusciamo a rinunciare a due cose: spazio e tempo. Non riusciamo a figurarci nulla che non sia in uno spazio o in un tempo, perché tutta l’esperienza esterna è possibile solo a partire da queste due rappresentazioni, e non viceversa. Spazio e tempo sono perciò intuizioni a priori, e quando diciamo di qualcosa che è a priori intendiamo che è necessario e universale, assolutamente indipendente da qualunque esperienza.
Considerate adesso il tempo e lo spazio di una cena. Il tempo è quello durante il quale restate seduti a tavola, lo spazio è il vostro stomaco. Per quanto pesante e lungo sia stato il pasto, ci saranno sempre alcuni minuti finali da dedicare al cantuccio e sempre nel vostro stomaco ci sarà un angolo per loro (un cantuccio appunto, altro illuminante disvelamento analitico). Quel tempo e quello spazio sono le condizioni necessarie per l’esistenza dei cantucci, e non viceversa. Spazio e tempo postprandiali determinano a priori la nostra ricetta di oggi.
Insomma, prima di aprire la porta all’esperienza, questo è quello che sappiamo: il cantuccio è un dolce in pezzi da mangiare al termine della cena.
Giudizio del Kantuccio sintetico a posteriori.
Osservate finalmente il cantuccio. Avremmo potuto farlo blu, ma così non è stato. E’ marroncino chiaro, come i mille altri cantucci che avete già mangiato (ora che potete di nuovo accedere all’esperienza, non lesinate coi ricordi!). Ma per il resto, come sarà? Come potete dire qualcosa di nuovo su di lui, aggiungere qualcosa alla vostra conoscenza iniziale? Assaggiandolo, naturalmente.
Lo avete fatto? Nulla di ciò che era contenuto nel termine cantuccio poteva farvi pensare che ci fossero tra gli ingredienti estratto di rosa e il peperoncino. Ora, a posteriori, mentre sentite il retrogusto pungente abbandonarvi, lo sapete. Ecco che avete compiuto un lavoro di sintesi, avete scoperto qualcosa che stava al di fuori della vostra idea di partenza, e lo avete fatto attraverso l’esperienza.
Giudizio del Kantuccio sintetico a priori.
6+7=13, giusto? Ma il 13 non è contenuto né nel 6 né nel 7, dunque trovando il risultato abbiamo scoperto qualcosa di nuovo, che stava al di fuori di quei due numeri (abbiamo fatto un lavoro di sintesi). Eppure, che 6 più 7 sia uguale a 13 è necessario e universale (a priori): non può essere che qualche volta risulti 13, qualche volta 18, né che per qualcuno l’operazione dia qualcosa di diverso da 13.
Quello che avviene con il calcolo matematico avviene anche con il calcolo culinario. Cantuccio+vinsanto=lamortesua, vale a dire che l’apoteosi non è contenuta né nel cantuccio né nel vin santo, ma è qualcosa che si raggiunge solo abbinandoli. Al contempo, il piacere sopraffino del loro accordo è inevitabile e non si può dare il cantuccio senza il vinsanto: come per ogni a priori che si rispetti, il vinsanto si accompagna al cantuccio necessariamente e universalmente, e necessariamente e universalmente questo porterà a “lamortesua”. Trovate voi una buon’anima che si sgranocchi il cantuccio da solo, così com’è, nella sua assoluta secchezza!
Conclusione
Ora non vi resta che godervi i nostri Kantucci ed esperire con calma ciò che a priori non si può determinare, ossia il sublime (mai aggettivo fu più azzeccato) incontro tra la mandorla classica e l’aroma di rose e peperoncino. Tuttavia non ci piace accomiatarci da voi pervasi da quest’aura di rigore. Perciò vi invitiamo a un piccolo atto di sabotaggio, un innocuo gesto di libertà: a fine pasto provate a incrinare lo sposalizio con il Vin santo immergendo il Kantuccio nel Torcolato di Breganze.
SAPORE AUDE!
KANTUCCI SINTETICI A PRIORI
Persone: 4
Tempo di preparazione: 20 minuti + ca. 20 minuti in forno
INGREDIENTI
90 gr burro
180 gr zucchero semolato
100 gr uova
3 gr lievito per dolci
5 gr sale
250 gr farina debole
80 gr mandorle sgusciate e a pezzi
10 gr estratto di rose
peperoncino q.b.
PREPARAZIONE
Siate metodici. Iniziate sempre a cucinare alle ore 17:00.
Amalgamate il burro precedentemente ammorbidito con lo zucchero, cercando di non montare l’impasto. Aggiungete le uova e l’estratto di rosa. Setacciate insieme farina, lievito e sale e incorporate delicatamente all’impasto. Infine versatevi le mandorle a pezzi e il peperoncino (nella quantità che preferite, ma senza esagerare).
Con l’aiuto di un sac-à-poche senza bocchetta, create con l’impasto sulla carta da forno due o tre filoncini (la scelta dipende da quanto desiderate vengano grandi i vostri Kantucci) ben distanziati fra loro.
Cuoceteli in forno preriscaldato a 180° C per circa 12-14 minuti. Quando iniziano a essere dorati e compatti, toglieteli dal forno e lasciateli raffreddare per circa cinque minuti.
Tagliate i filoncini in diagonale con un coltello a sega, in modo da ottenere biscotti di 1,5 cm di spessore. Disponete i biscotti ottenuti girandoli lateralmente sulla teglia: lasciateli tostare a 210° C per circa 5 minuti (se ne avete la possibilità usate la funzionalità Grill del vostro forno).
Lasciateli raffreddare fino a fine cena, preparate il Torcolato e godetevi la pace perpetua.
Aristortele
Maddalena Borsato è pasticciera disordinata e ricercatrice in Estetica del cibo. Jacopo Giacomoni è drammaturgo e performer dall’eccellente metabolismo. Insieme fanno filosofia col cucchiaino e creano ricette di pasticceria pensata. Lo scopo è farvi diventare i Socrate del Simposio, i Gorgia dell’agone culinario, i Sant’Agostino della Saint Honoré, i Marx della Lotta di glasse, gli Heidegger del Da-ssert, i Nietzsche del Superuovo, gli Hegel del bignè assoluto.