Domenica ero a Firenze, dopo giorni di tempo incompatibile con giugno era finalmente uscito il sole che già da metà mattina aveva cominciato ad abbattersi infuocato sulla frotta di turisti ai piedi della cattedrale di Santa Maria del Fiore.
Una fila di sessanta metri si era formata lungo il lato sud, dove si accede al banco per fare il biglietto.
L’attesa permette di osservare la piazza e la tipologia di persone che la affolla.
Da studioso di antropologia è facile per me cadere nella curiosità di osservare i comportamenti altrui.
I sempreverdi giapponesi con la fotocamera tra le mani che si stupiscono per qualsiasi cosa, anche la più banale; gli americani instancabilmente innamorati del Rinascimento; i francesi e gli spagnoli che al gruppo – prerogativa germanica – preferiscono girovagare più in incognita.
Immancabili i venditori di immagini, da Ponte Vecchio si diramano in tutta la città esponendo i loro prodotti su bancarelle talmente improvvisate che spesso si riducono al selciato della strada.
Se qualcuno dovesse descrivere un qualsiasi luogo di interesse culturale italiano non potrebbe esimersi dall’inserire almeno un paio di questi elementi, altrimenti risulterebbe un resoconto fantascientifico.
Per aggiungere dettagli a questo quadro generale si dovrebbero citare le guide turistiche, veri e propri profeti del XXI secolo che divulgano il loro sapere attraverso un microfono e che al posto del bastone nodoso, necessario a chiunque volesse intraprendere la carriera del profeta, brandiscono una bandierina o un ombrello.
Agli angoli delle piazze si trova sempre qualcuno che suona qualcosa, motivetti famosi per le orecchie di chi apprezza i classici, improvvisazioni per gli amanti dell’originalità.
Uomini-statua che passano ore ad imitare l’immobilismo del marmo di Carrara; ambulanti che vendono accessori per smartphone… quindici anni fa vendevano solo pupazzetti di farina e braccialetti portafortuna, del resto i tempi cambiano un po’ per tutti.
Se dovesse piovere è certa l’apparizione degli ombrellai, fatto che suscita forti sospetti sulla loro responsabilità riguardo i temporali.
Tutto questo era in movimento attorno a me e alla fila a cui ormai appartenevo fisicamente, quando notai un gruppetto di uomini in carrozzina.
Saranno stati cinque o sei, tutti accompagnati dalla moglie o da un amico, si erano disposti a semicerchio attorno all’ennesima guida che parlava in inglese.
Qualcuno di loro ascoltava attento, qualche altro guardava semplicemente all’insù, uno in particolare aveva gli occhiali da sole, ma pareva non guardare nulla di preciso, era lì immobile sotto al suo cappello col frontino.
Di persone in carrozzina se ne incontrano spesso, specialmente nei luoghi ad alta frequentazione turistica, quindi non so spiegarmi come mai, proprio in quel momento, mi sono soffermato su di lui.
Non potevo sapere nulla sulla sua vita, su cosa potesse essergli capitato o se in quel momento stesse davvero ascoltando il racconto sulla costruzione della cupola del Brunelleschi, comprendere la mente umana imbrigliata nel gioco crudele di una malattia penso sia qualcosa di arduo, però il messaggio che nel giro di un paio di minuti si era materializzato davanti ai miei occhi portava con sé una conclusione semplicissima: quell’uomo era lì.
Era lì perché doveva vedere dal vivo qualcosa che normalmente si trova in fotografia, perché doveva toccare con mano il modello originale che ha ispirato tanti artisti e tanti scrittori.
Doveva respirare quell’aria, vedere o sentire quella stessa atmosfera confusionaria che sentivo anch’io, doveva bruciarsi sotto quel sole tanto atteso per poter dire di esserci stato.
Non potevo sapere nemmeno quante persone, in quello stesso momento, potessero esserci anche a Roma, a Napoli, a Venezia, accomunate dalle stesse difficoltà e dalla stessa determinazione.
Quando esiste la possibilità di ottenere un arricchimento interiore, culturale o conoscitivo, l’Uomo cerca di raggiungere quel fine tanto desiderato.
E’ in quel momento che si annullano confini, distanze, grandi o piccoli impedimenti personali.
Ce lo raccontano gli esploratori, da Marco Polo a Cristoforo Colombo a David Livingstone, ma anche scrittori del calibro di Jules Verne e Goethe.
Allo stesso tempo è da notare ciò che forse noi, abitanti del pianeta Italia, non percepiamo: la ricchezza che ci circonda.
Sembra una frase ripetitiva, una di quelle che si estrae durante le pirotecniche discussioni relative alle manchevolezze amministrative sul patrimonio artistico-culturale.
Eppure ci comportiamo come se dessimo per scontate certe cose che via via vengono dimenticate, tanto da arrivare al punto di considerare una vacanza come tale solo se fatta in un altro continente.
Non è una morale, ma uno sprone che potrebbe servire a renderci più consapevoli di ciò che custodiamo volontariamente o meno, ovvero una serie di meraviglie artificiali e naturali che costellano il nostro territorio, che riempiono le nostre piazze, che smuovono persone come quell’uomo a Firenze, che sotto al cappello col frontino seduto sulla sua carrozzina ascoltava, o forse no, il racconto sulla costruzione della cupola del Brunelleschi.
Alessandro Basso
Sono nato a Treviso nel 1988, nel 2007 ho conseguito il diploma triennale in grafica multimediale e pubblicitaria all Centro di Formazione Professionale Turazza di Treviso; dopo aver lavorato alcuni anni, ma soprattutto dopo un viaggio in Australia, sono tornato sui libri e nel 2013 ho conseguito il diploma di maturità al Liceo Linguistico G. Galilei di Treviso. Attualmente sono laureando in Storia e Antropologia all’Università Ca’Foscari di Venezia.
Mi piace molto leggere, senza tuttavia avere un genere preferito; i miei interessi spaziano dalla cultura umanistica alla sociologia, e in certi ambiti anche alla geologia.
[immagine tratta da Google Immagini]