Spesso gli esseri umani nella loro quotidianità si scontrano tra loro: bisticci, noie e divergenze sono all’ordine del giorno. Altrettanto spesso questi screzi nascono da incomprensioni e qui Nietzsche potrebbe essere una chiave di lettura utile, soprattutto in una delle pagine del suo La gaia scienza:
«Anche il malvagio, anche l’infelice, anche l’uomo d’eccezione deve avere la sua filosofia, il suo buon diritto, il suo sole che risplende! Con costoro non c’è bisogno di compassione! – dobbiamo disimparare questo capriccio dell’arroganza […]. Piuttosto occorre una nuova giustizia! E una nuova parola d’ordine! E nuovi filosofi! Anche la terra della morale è rotonda! Anche la terra della morale ha i suoi antipodi! Anche gli antipodi hanno il loro diritto di esistere! C’è ancora un altro mondo da scoprire – e più di uno! Alle navi, filosofi!» (F.W. Nietzsche, La gaia scienza, Einaudi, 2015, p.189).
A livello morale, pare ovvio, Nietzsche ci suggerisce che ognuno ha la sua morale, che ognuno insegue il suo sole e da ciò deriva che il suo comportamento è direttamente condizionato, se non determinato in toto, dal «suo sole». Partendo da queste premesse, discostandoci seppur di poco dal nocciolo discorsivo nietzscheano, possiamo avanzare una tesi anche sul punto di vista comportamentale: se due persone hanno due diversi soli allora avranno due diversi comportamenti. Il che equivale a dire che le nostre motivazioni possono portarci a litigare con un’altra persona se questa ha diverse motivazioni.
Appare altrettanto vero che il seme della discordia può essere attenuato se riconosciamo la legittimità nelle motivazioni degli altri: se noi riconosciamo nell’altro le reali motivazioni che lo portano a un determinato comportamento, comprenderemo, entro certi limiti, il comportamento stesso che l’altro adotta. Seppur non condividendo le premesse e le conseguenze di un determinata azione altrui, saremo comunque portati a non giudicarlo troppo facilmente e a non biasimarlo, semplicemente perché non siamo nella sua situazione e quindi non possiamo sapere che cosa avremmo fatto al suo posto.
Tutto ciò ci riporta a un altro insegnamento di Nietzsche, che poi è una ripresa del tema principale di questo articolo: non esiste alcuna verità assoluta, tutto dipende dalla nostra prospettiva. Detto con maggior efficacia: non ci sono fatti, solo interpretazioni. Anche Deleuze riporta a parole sue questo aspetto della filosofia di Nietzsche quando afferma che il tedesco «non crede nei “grandi eventi” clamorosi, ma nella silenziosa pluralità dei sensi di ciascun evento: non c’è evento, fenomeno, parola o pensiero il cui senso non sia molteplice» (G. Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Einaudi, 2020, p.7). La stessa formula “non ci sono fatti, solo interpretazioni” permea molti degli scritti nietzscheani, soprattutto in contrapposizione alle concezioni positivistiche che consideravano i fenomeni in un certo senso oggettivi e assoluti. Un fenomeno era un fenomeno e aveva un’unica spiegazione ma, per il filosofo tedesco, i fatti sono interpretabili e l’interpretazione dipende dal punto di vista dell’osservatore. Se questa tesi è stata ormai adottata anche dalla scienza contemporanea, non sempre riusciamo ad applicarla nella nostra quotidianità. Consideriamo spesso la nostra visione dei fatti come l’unica ragionevole, mentre quella degli altri erronea. Facendo così diamo per assodato che esiste una verità assoluta di cui siamo portatori mentre chi espone un’opinione diversa è nel torto. Certo, in molte realtà è utile seguire la visione di un’unica persona, ma non deve diventare prassi in qualsiasi campo della nostra vita, altrimenti cadremmo nell’accettazione acritica dello status quo delle cose.
Se, in conclusione del ragionamento, adottassimo l’atteggiamento prospettivista di Nietzsche ci sarebbe più facile comprendere le motivazioni altrui e cercheremmo più il dialogo che la lotta. Qualcuno potrebbe obiettare che seguendo questo atteggiamento si potrebbe sfociare in una guerra tra due prospettive che lottano tra loro per prevalere sull’altra, ma questa tesi si rivelerebbe erronea. Tale estremizzazione, essendo appunto un estremo dannoso – come direbbe Aristotele1 –, farebbe tornare i due interlocutori sulle posizioni precedenti al prospettivismo perché entrambi crederebbero di essere in possesso della ragione e dalla parte della verità assoluta. Vedremmo quindi scontrarsi non più due prospettive in un dialogo, bensì due verità con la pretesa di assoluto che si fanno la guerra per prevalere.
Appare evidente, infine, che il prospettivismo ci apre la strada alla comprensione dell’altro, al dialogo aperto e allo scambio di opinioni che in una società contemporanea non farebbe altro che migliorare le condizioni dell’essere umano. Per fare tutto ciò serve apertura, ascolto e rispetto.
NOTE
1. Cfr. Aristotele, Etica Nicomaachea, Editori Laterza, 1999.
[Photo credit Clem Onojeghuo via Unsplash]