Con lo scorso decreto del 4 maggio 2023 è stato istituito, «a decorrere dal 1° gennaio 2024, l’Assegno di inclusione, quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi di inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro»1. Se confrontiamo questo dettaglio legislativo con l’attuale definizione del Reddito di Cittadinanza che l’Assegno di Inclusione andrà a sostituire, possiamo notare subito l’omissione del termine «disuguaglianza». Se, infatti, il Reddito di Cittadinanza è un intervento «di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale»2, l’Assegno di Inclusione è una misura «di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale». Nella nuova proposta istituzionale, quindi, il termine “fragilità” va a sostituire, nella collocazione, quello occupato dalla “disuguaglianza“. Ciò sembrerebbe indicare, nel pensiero del legislatore, di non ritenere opportuno, in questa specifica misura di politica sociale, riferirsi alla questione della disuguaglianza.
Ora, sebbene non sia possibile conoscere nello specifico le ragioni di questa modifica, nondimeno questa differenza può offrirci l’occasione di tentare di esplicitare alcune nostre considerazioni culturali intorno a questa tematica. Se da una parte, infatti, possiamo ritenere auspicabile la disuguaglianza quale diversità necessaria a una suddivisione dei compiti sociali, dall’altra parte la disuguaglianza rappresenta il rischio – mai facilmente gestibile – di un abuso posizionale. Sicché il tema della disuguaglianza può condurci a riflettere sul limite di una concezione concorrenziale dell’attività politica. Il potere che conferisce la ricchezza economica, infatti, sbilancia l’ideale della nostra parità politica, disturbando l’immagine rassicurante di un’equa competizione. Forse, non a caso, nel corso della storia, il suffragio universale – emblema dei nostri processi democratici – è stato concesso e/o conquistato, proprio quando la piramide dell’interdipendenza economica andava a sostituire man mano l’assetto tradizionale di subordinazione all’eccedenza del potere politico di una parte sociale. In questa particolare fase storica, la disuguaglianza economica, accompagnandosi alla formalità di un’uguaglianza politica, si è mostrata, a molti, domabile e innocua, se non anche funzionale allo stesso sviluppo economico.
È possibile intuire, allora, quanto il tema della disuguaglianza socio-economica sia profondamente delicato. Delicato proprio perché essa implica sempre il rischio di un abuso posizionale che non è mai facile precisare situandosi nel critico, doppio e opposto senso della libertà di fare (che è un fare per alcuni) e della libertà impedita a fare (che è un non fare per tutti gli altri). Infatti, la disuguaglianza socio-economica fa riferimento non soltanto a una differenza quantitativa e qualitativa di mezzi e risorse materiali, ma potrebbe riferirsi anche a una differenza più intima di carattere culturale. Sicché non è niente affatto scontato che chi subisca l’abuso di potere presenti nell’arena pubblica efficaci argomenti a soluzione del suo disagio. Perciò si può comprendere il limite di una concezione concorrenziale della politica, laddove proprio il meccanismo di garanzia della rappresentanza appare privato della sua sorgente corrispondente. Come possono esserci, infatti, efficaci portavoce se la difficoltà o l’impossibilità da parte di molti di indagare le grandi decisioni della società impedisce, a monte, la saggia espressione dei propri interessi?
Di fatto le misure di politica sociale che mirano a far fronte a situazioni di disagio materiale in chiave redistributiva come il Reddito di Cittadinanza e l’Assegno di Inclusione tendono a rispondere a una esigenza sociale inconsapevole sia delle macro-origini effettive delle difficoltà economiche, sia delle implicazioni critiche dell’offerta politica a loro proposta. Cosicché, la scarsità di conoscenza, generalmente diffusa e condivisa, va a vanificare il rassicurante affidamento alla rappresentanza politica che tenderà, non solo, a soddisfare un elettorato inconsapevole delle sue possibili rivendicazioni legittime, ma anche scorrettamente autorizzato alla non curanza delle comuni ricadute sociali. Ne consegue una politica privata del suo senso più autentico, ovvero quello di riconoscere l’interdipendenza reciproca dei problemi e di cercare, per questo, soluzioni che tengano conto delle caratteristiche della società nel suo insieme.
In poche parole, l’inesistenza di un dibattito partecipato riguardo le grandi decisioni della nostra società impedisce la giusta dinamica politica, consentendo al potere di non incontrare i legittimi ostacoli alla sua libertà. Accade così che, lasciando al potere, forgiato dalla ricchezza economica, l’esclusiva della massima pratica della libertà, la società subisce le conseguenze di una criticità tra libertà mai politicamente esaminata. E immaginandosi tutti ugualmente liberi, alcuni non si accorgono che liberi lo sono troppo e altri che liberi lo sono sempre di meno.
NOTE
1. Decreto legge 4 maggio 2023, n. 48 Capo I – Art. 1 – Comma 1.
2. Decreto legge 28 gennaio 2019, n. 4 Capo 1 – Art. 1 – Comma 1.
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