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Seneca

La felicità e la saggezza nel “De vita beata” di Seneca

«Seneca è uno dei massimi pensatori del mondo romano e uno dei più rappresentativi protagonisti del tardo stoicismo»1. La sua vita è votata, insieme, alla filosofia e alla politica. Nasce a Cordoba tra il 4 e l’1 a.C; rientrato a Roma nel 31 dopo un periodo trascorso in Egitto, «lo stile dei suoi scritti, rapido, essenziale, apparentemente facile ma in realtà estremamente denso e fascinoso […] lo [rende] noto a tutti: come segnalerà Quintiliano […] “all’epoca, in pratica non c’era che lui a circolare tra le mani degli adolescenti”»2. All’età di cinquant’anni è pedagogo del giovane Nerone per poi diventare suo consigliere fino a quando l’imperatore non decide di assumere totalmente il potere e dare vita a un nuovo corso politico. A quel punto, nel 62, Seneca sceglie di ritirarsi a vita privata per poi accettare la condanna al suicidio nel 65.

Il De vita beata è composto prima del ritiro dalla vita pubblica, sotto il regno di Nerone, e in quest’opera Seneca «affronta la questione della ricchezza materiale e del suo rapporto con il concetto stoico di “virtù”»3, chiarendo anche la condizione del proficiens – ovvero quell’uomo che è in cammino verso la virtù, la verità e la giustizia ma non le ha ancora raggiunte e non è, quindi, ancora sapiens.

La prima parte del dialogo è dedicata al confronto con la dottrina etica epicurea, che pone al centro della vita il piacere, telos (fine) della vita saggia. Epicuro, infatti, aveva elaborato una proposta filosofica votata all’edonismo – ma dipendente comunque dalla razionalità – che Seneca critica perché «gli antichi ci hanno insegnato a seguire la via retta, non la più gradevole, affinché il piacere sia non guida, ma compagno della volontà buona»4. «Alcuni [infatti] sono infelici non per mancanza di godimenti, ma proprio a causa di essi. Questo non accadrebbe se il piacere fosse legato alla virtù»5. Seneca è coerente interprete della dottrina stoica, che pone come fulcro e telos della vita saggia la virtù, ovvero il vivere in modo coerente e secondo natura. La prospettiva fisica e metafisica stoica, infatti, propone una realtà formata da due principi – materia e logos – mai separati ma fusi insieme, in modo che ne derivi una materia insieme passiva e attiva grazie ad una logica produttiva, viva, che permea l’intero cosmo. Il vivere, quindi, in accordo con il principio razionale del tutto – logos – consiste nel vivere secondo virtù, e la felicità non è che una diretta conseguenza, in una prospettiva che lega strettamente fisica ed etica.

La felicità, allora, viene a configurarsi in collegamento diretto con la verità:

«Cerchiamo dunque ciò che è bene fare, non ciò che è fatto più frequentemente, quello che ci può mettere in possesso della felicità eterna, non quello che è approvato dal volgo, pessimo giudice della verità»6;

con la natura:

«Vita felice è dunque quella che si accorda con la sua natura, raggiungibile soltanto se lo spirito è, in primo luogo, sano e in perpetuo possesso di questa salute […]»7;

e con la virtù:

«[…] si può anche definire l’uomo felice come colui per il quale non esiste altro bene o altro male se non un animo buono o malvagio, colui che coltiva l’onestà e si contenta della sola virtù»8.

Questi tre termini – verità, natura e virtù – rappresentano il fulcro del repertorio etico di Seneca e dello stoicismo, una prospettiva che richiede all’uomo di mettersi in cammino verso la verità attraversando il sottile filo teso tra finitezza umana e perfezione del logos. Sapiens e proficiens hanno, infatti, a disposizione la capacità di giudizio razionale che permette loro di operare le giuste scelte, esercitando la loro libertà inserita all’interno di una prospettiva determinista, nel percorrere questa via.

Molto interessante è il tema della coerenza che viene affrontato da Seneca a partire dal capitolo XVII. Il filosofo affronta di petto una possibile critica che un ipotetico accusatore potrebbe muovere alla sua pratica di vita: «Tu parli in un modo e ti comporti in un altro»9. Questa obiezione, che riguarda particolarmente da vicino Seneca, viene affrontata magistralmente, mostrando tra le altre cose come, in realtà «[agli accusatori] conviene, infatti, che nessuno sia ritenuto virtuoso, perché per [loro] la virtù degli altri suona rimprovero alle [loro] colpe»10. Seneca invece, con grande onestà intellettuale, afferma:

«[nulla] m’impedirà di continuare a lodare la vita, non quella che conduco, ma quella che so di dover condurre; non m’impedirà di rispettare la virtù e di seguirla, sia pure arrancando da lontano»11.

Non abbiamo lo spazio per affrontare gli altri grandi temi presenti in quest’opera eterna nel tempo, perciò si rinvia al testo stesso, grande miniera di riflessioni preganti anche – se non soprattutto – per il mondo contemporaneo.

 

NOTE
1. S. Maso, Filosofia a Roma, Roma, Carocci, 2017, p. 147.

2. Ivi, pp. 148-149.
3. Ivi, p. 153.
4. L.A. Seneca, De vita beata, in Dialoghi morali, Torino, Einaudi, 1995, p. 139.
5. Ibidem.
6. Ivi, p.127.
7. Ivi, p. 131.
8. Ivi, p. 133.
9. Ivi, p. 163.
10. Ivi, p. 167.
11. Ivi, p. 165.
Photocredit Alex Shute via Unsplash

Massimiliano Mattiuzzo

ambizioso, testardo, orgoglioso

Mi sono laureato alla magistrale di Scienze filosofiche all’Università Ca’ Foscari di Venezia e progetto di proseguire la ricerca all’interno del panorama accademico. Sono vice-caporedattore de La Chiave di Sophia e vice-presidente della relativa associazione culturale. Fin da bambino do una mano nell’azienda biologica di famiglia, vivendo appieno il contatto con la natura. Amo la […]

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