Nel 1979 Giovanni Paolo II istituì una commissione pontificia che, in estrema sintesi, ammise il proprio errore nell’aver condannato Galileo all’abiura del 1633.
Le religioni sono dinosauri grossi e lenti nei cambiamenti, i loro precetti – dicono – sono divini, non possono essere in errore. Un’ammissione di errore diviene pertanto un processo lungo da ammettere, lungo anche 346 anni.
Potete ora osservare lo stesso processo, di sgretolamento di un precetto religioso, in atto presso le religioni taoiste. Qui vi è una legge dello spirito chiamata wu-wei per la quale: «quello che è è ciò che doveva essere, non opponetevi al fluire delle cose e vivete in armonia, vano è perseguire un fine diverso, ogni cosa segue il suo sviluppo»1.
Pensate ora al pessimismo greco, alle sue predestinate tragedie (dell’antica Grecia), a Edipo impossibilitato a sottrarsi al suo destino, a quel senso di rassegnazione che si staglia sulla società quando si accetta l’idea che tutte le cose, se sono così, è perché dovevano essere così, determinate a essere così dall’inizio dei tempi. Ne nasce la rassegnazione, la deresponsabilizzazione, il pessimismo, il non-agire, il lasciar accadere, la liberazione dalle colpe e l’accettazione di tutto ciò che è. Ma non è di questo orrore psicologico che volevo parlare, ma di come il suddetto principio spirituale (wu-wei) si danneggi sotto le prove dei fatti, similmente a come crollò quel precetto cristiano per mano di Galileo.
Siamo nel 1913, Planck introduce per la prima volta il concetto di “quanto”. Nasce una nuova scienza, la fisica quantistica, cioè la misurazione di ciò che succede, in particolare, sotto la grandezza dell’atomo. È sorprendente, alcune nostre misurazioni trovano accordo con la natura quantistica solo se si appoggiano a principi casuali (es. principio di indeterminatezza) o alla matematica del caos. No, non è un problema di misurazione, è proprio un principio che è stato osservato in natura, similmente a come Galileo osservò i movimenti dei corpi celesti: «misurando i fatti».
Il fatto che si tratti di un principio e non di una mancanza di misurazione, significa che anche conoscendo tutto, onniscienti come Dio, ci sono eventi che non si può sapere in anticipo come accadranno, se non all’infinito ma noi qui non viviamo l’infinito, pertanto qui decade il detto precetto taoista:
Ciò che è, in alcuni casi, poteva essere diverso2.
Insorgono così i mondi paralleli, insorge il bisogno non solo di fluire nell’armonia dell’universo (wu-wei) ma di essere noi stessi artisti di un’armonia:
Dio non sempre dice come le cose devono andare (dovere), a volte dice come possono andare (potere)3.
Ed è in questo “potere” divino che si dà la casualità e il libero arbitrio, mentre per il “dovere” divino si pone la determinazione, la necessità, il destino: sicché ognuno sia attore (potere) e spettatore (dovere) a un tempo dell’esistenza4.
Chiaramente non sto ponendo la casualità come origine, ben lungi da Bohr e compari fisici, bensì una causa che in date circostanze lascia margini di casualità e libertà riconciliabili all’infinito nel principio unico.
La cosa curiosa di questo resoconto, è che nello stesso secolo in cui la Chiesa Cristiana ammette la misurazione di Galileo (1979) apostrofandolo successivamente come «il divin uomo» (2009), in quello stesso secolo una nuova misura, la misura del caso, mette in crisi uno dei precetti spirituali di un’altra religione fra le più potenti al mondo, il Tao.
Anche qui ci vorranno 346 anni prima di una loro ammissione ufficiale di errore?
Nel frattempo abbiate cura di riconoscere sempre ciò che è in vostro potere da ciò che sta oltre il vostro potere e con cui non potete altro che l’armonia. Riconoscete quando non-agire come l’acqua che si adatta al corso (wu-wei), da quando dipende dal vostro agire come l’acqua che sgretola la roccia. Considerate, l’idea di scorrere nel flusso universale e di poter deviare/opporvi ad alcuni flussi individuali. Lasciate, che la natura delle cose accada ma no la brama di sopraffazione di alcuni. Cogliete la Santità dell’Unità e la Sacralità dell’Io.
Si dice: a volte non possiamo farci nulla, qualunque cosa facciamo, ed è bene fluire nella natura universale, ma ci sono volte in cui siamo noi a poter definire un futuro fra i diversi possibili, senza che questo sia l’unico a disposizione, senza poter dire sempre «doveva essere cosi» bensì a volte «poteva essere anche diverso ed era in mio potere che fosse diverso o che lo sarà»5.
Vito J. Ceravolo
NOTE:
1. Cfr. Dao Dejing, sintesi cap. 37.
2-3-4. Cfr. V.J. Ceravolo, Libertà. Mondo. Interferenze, 2018.
5. N. Bohr, Teoria dell’atomo e conoscenza umana, 1961: «Per trovare qualcosa che corrisponda alla lezione offertaci dalla teoria atomica [dobbiamo rivolgerci ] a quel tipo di problemi epistemologici che già pensatori come Buddha e Laotzu hanno affrontato nel tentativo di armonizzare la nostra posizione di spettatori e attori a un tempo del grande dramma dell’esistenza».
Vito J. Ceravolo, classe 1978, è ricercatore indipendente nell’ambito dell’accessibilità intellegibile all’in sé e percettiva al fenomeno. Fra le sue pubblicazioni: Mondo. Strutture portanti. Dio, conoscenza ed essere, ed. Il Prato, collana I Cento Talleri, Saonara 2016 (secondo al Premio Nazionale di Filosofia 2017, Certaldo); Libertà, ed. If Press, collana TheoreticalPhilosophy, Roma 2018. Diversi anche gli articoli pubblicati presso riviste.
[Immagine tratta da pixabay.com]