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La natura rivelatrice dell’immaginazione

A tutti noi è capitato, almeno una volta nella vita, di distrarci completamente dal momento presente reale e tangibile ed estraniarci per entrare in una diversa dimensione, totalmente inafferabile eppure ricca di dettagli a volte estremamente precisi, altre sfumati ed enigmatici. Questo momento, o meglio questi momenti che siamo in grado di vivere vanno ben al di là della nostra età, sesso, etnia o religione e sono possibili grazie a una straordinaria facoltà della mente umana: l’immaginazione, una preziosissima capacità che ha quasi dell’incredibile e riesce ad aprirci le porte verso mondi sconosciuti e sempre nuovi ma anche verso la nostra interiorità, la conoscenza graduale e, man mano più profonda, di noi stessi.

Per comprendere quanto il tema dell’immaginazione abbia attratto ed ancora attragga numerosi studiosi anche molto diversi tra loro basti pensare che di immaginazione si parla sin dall’antichità: da Platone – per il quale risiedeva nel fegato, un organo lucido capace di ricevere e poi mostrare le immagini rispecchiandole – ad Aristotele – per il quale l’immaginazione è: «un movimento prodotto dalla sensazione in atto» (Aristotele, De anima, 429a1) – passando per Plotino e fino a Giordano Bruno, per il quale l’immaginazione si lega alla mnemonica. L’interesse verso l’immaginazione non verrà mai meno, tanto che nell’età moderna subentrerà l’idea di una connessione tra essa e l’arte arrivando così al Novecento nel quale è connessa a una riflessione sugli aspetti creativi e costruttivi dell’esperienza umana e le verrà attribuito un ruolo molto importante anche nell’ambito della fenomenologia, in particolare con Husserl che, secondo il Dizionario di Filosofia Treccani, «ne sottolinea la funzione di riproporre (ripresentare) le esperienze vissute in forma di “libere fantasie”, tali quindi da rivelare, una volta divenute oggetto di contemplazione, la loro vera natura».
Proprio sulle tracce di Husserl lavorerà Sartre soprattutto in due opere: L’immaginazione del 1936 e L’immaginario, di qualche anno successivo. In quest’ultimo, Sartre definisce l’immaginazione come condizione per l’uomo di superare il reale: «l’atto d’immaginazione è un atto magico. È un incantesimo destinato a far apparire l’oggetto pensato, la cosa desiderata in modo che se ne possa prendere possesso»1.

Eppure, nonostante l’ormai riconosciuta importanza che riveste tra le abilità cognitive, abbandonarsi ad essa e al suo flusso non è così semplice come potrebbe sembrare perché presuppone che si abbia la possibilità di lasciarsi andare a qualcosa che va al di là della realtà tangibile. Oggi, per noi, continuamente sollecitati da diverse attività che ci impegnano e ci distraggono continuamente, questa azione potrebbe risultare sempre più difficile e potremmo avere la sensazione di aver perduto la capacità di immaginare e, con essa, la possibilità di guardare dentro noi stessi. L’immaginazione, infatti, ha bisogno di essere coltivata e di avere il proprio spazio nella nostra vita quotidiana per poter davvero aiutarci a leggere meglio la nostra interiorità; per farlo varrebbe la pena trovare un nostro metodo personale, per esempio provare a non stimolarla continuamente con immagini sempre uguali e ripetute (come accade ‘scrollando’ di continuo i nostri smartphone alla ricerca di una qualche ispirazione per poi perderci irrimediabilmente in un labirinto senza fine) perché in questo modo potremmo ottenere esattamente l’effetto contrario, togliendole la sua straordinaria forza di parlarci di noi stessi e dei desideri che forse non sospettiamo neanche di avere.

Abbandonarci maggiormente all’immaginazione, nella vita di tutti i giorni, significa dare alle parti più recondite e peculiari di noi stessi la possibilità di emergere, alla nostra mente di compiere dei viaggi sempre nuovi e più profondi dentro noi stessi. Non solo: grazie all’immaginazione, infatti, possiamo rivivere il passato ricordandolo ed esplorando in questo modo le nostre emozioni più intime, senza soffocarle e proiettarci verso il futuro cercando soluzioni e allenandoci, così, anche ad affrontare i problemi. Coltivare l’immaginazione non può, in ultima analisi, che essere un ottimo modo per comprendere noi stessi esplorando i nostri cambiamenti, i nostri desideri e le nostre immagini interiori e, non meno importante, coltivarla significa avere nuovi occhi per guardare il mondo che ci sta intorno, rendendo la nostra mente sempre più aperta e flessibile formando e rivelandoci l’individuo che siamo e che vogliamo essere.

 

NOTE
1. J.P. Sartre, L’immaginario. Psicologia fenomenologia dell’immaginazione, in A. Florio, Jean-Paul Sartre, L’immaginario. Psicologia fenomenologia dell’immaginazione.
Photo credit J. Balla Photography via Unsplash

Veronica Di Gregorio Zitella

Veronica Di Gregorio Zitella

curiosa, determinata, sognatrice

Sono laureata in Lettere e Filosofia e tutto il mio percorso accademico si è svolto alla Sapienza di Roma dalla triennale al Master in Editoria, giornalismo e management culturale e le mie più grandi passioni sono la filosofia, la lettura e la comunicazione; dalla fine del 2018 mi occupo di social media e comunicazione digitale […]

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