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Giornata della memoria

La persistenza della Giornata della memoria

A vent’anni esatti dall’istituzione della Giornata della memoria come ricorrenza internazionale per ricordare e commemorare tutte le vittime della Olocausto, il numero di celebrazioni, eventi o semplicemente di film dedicati in programmazione si spreca. Soprattutto per quanto riguarda la settima arte – anzi per quanto riguarda l’arte in generale – i contributi continuano ad essere riproposti anche dopo 80 anni, con punti di vista fino ad ora poco esplorati. È il caso del capolavoro del 2023 The zone of interest, premiato alla notte degli Oscar come miglior film internazionale e come miglior sonoro. Nel film di Jonathan Glazer, infatti, si racconta soprattutto con i suoni la storia del comandante capo di Auschwitz, Rudolf Höß, e della sua famiglia, tutti residenti nell’Interessengebiet (la zona d’interesse del titolo), un locus ameno e quasi onirico posto al confine con il muro perimetrale del campo di concentramento, che per tutta la durata del film torreggia con il suo posto di vedetta come una spada di damocle che gli occupanti della casa sembrano ignorare. Spari, urla disumane, fumo, resti umani, cenere, comandi abbaiati in tedesco: tutto quello che The zone of interest non mostra e pone volutamente in secondo piano, è in realtà il protagonista costante della pellicola. Il racconto che Glazer fa viene portato a compimento grazie all’uso di una sorta di lente che rende il tutto una storia (vista l’attualità) del tutto contemporanea. È la forza narrativa dell’arte che, grazie appunto a questo filtro, rende la rappresentazione della realtà più forte e potente della realtà stessa, in grado di scuotere le viscere, smuovere le emozioni ed infine accendere le menti come nient’altro al mondo.

Dalla sindrome di Stendhal al famoso scambio di battute tra Picasso ed un gerarca nazista al cospetto di Guernica (domanda: “Chi ha fatto questo orrore?” risposta brillante: “Voi!”), uno dei tanti meriti dell’arte è quello di sublimare la brutalità degli orrori della realtà – l’Olocausto ne è forse l’esempio più famoso – facendocela comprendere e per certi versi interiorizzare meglio. Per capire che la Giornata della memoria sia utile – non solo per ricordarci cosa è successo nel 1945, ma anche perché in grado di dirci di più sulla società di oggi – abbiamo bisogno dell’aiuto dell’arte. Per crescere come persone singole e come insieme di esse raggruppate, per l’appunto in una società, abbiamo bisogno della funzione educativa dell’arte. È una frase trita e ritrita, forse, ma il passato racconta davvero il futuro. 

Il gioco di parole del titolo, desunto da una famosa opera del 1932 di Salvador Dalì, non è una scelta casuale. Al surrealismo del dipinto, raffigurante degli orologi molli in una landa desolata e spettrale, l’artista affianca una raffinata analisi sullo scorrere del tempo, sulla sua relatività e sul fatto che non scorra per tutti allo stesso modo. Ognuno lo vede a modo suo, interpreta a suo modo la memoria ed i ricordi, facendosi spesso trascinare da essi. Per vivere bene, dice Dalì, si dovrebbe avere un buon rapporto con se stessi e con il presente, l’unico tempo che siamo in grado di influenzare e sul quale possiamo esercitare un certo tipo di volontà. Memoria, persistenza, realtà: è facile vedere nell’idea di Dalì l’influenza del pensiero di Henri Bergson. Secondo il filosofo premio Nobel per la letteratura nel 1927, a differenza della percezione, la memoria è l’accumularsi di ricordi ed è sempre presente, al di là della consapevolezza che si possa averne, in una dimensione temporale che corrisponde al tempo reale vissuto. La percezione, invece, è solo un ritaglio temporaneo, una piccola porzione di realtà parziale e della durata di un solo istante. La Giornata della memoria – e non la giornata della percezione – è quindi, ancora una volta, fondamentale sia come monito messo lì ad imperitura memoria che come epitome delle nefandezze di un passato relativamente vicino che, grazie all’arte, riesce a dipingere i confini della realtà del presente.

Confini che, nel 2016, hanno rischiato di vacillare paurosamente. Almeno in Austria, e più precisamente a Braunau am Inn, città al confine con la Germania e famosa nel mondo per essere il luogo di nascita di Adolf Hitler. Meta di pellegrinaggio bipartisan, sia i detrattori che i nostalgici del Führer si sono spesso recati in zona, per commemorazioni di vario tipo. L’edificio, una bella costruzione Biedermeier di quasi 200 anni e quindi autentica struttura di interesse artistico-architettonico, è stata al centro di dibattiti per anni, passando da essere casa del partito nazionalsocialista a biblioteca, da centro disabili a probabile commissariato di polizia della cittadina. Il dibattito, però, è ancora aperto. Segno che il conflitto non è risolto e il filtro dell’arte, che avrebbe dovuto prendere la casa e renderla una normale costruzione in stile Biedermeier dove è nato uno dei responsabili dell’Olocausto, non è stato ancora attivato. Colpa di una narrazione poco efficace, che non ha ancora acceso le emozioni e le menti o del rischio di idealizzare ed di identificarsi con la casa stessa, e quindi con l’epitome del male?  Ecco, l’importanza del 27 gennaio, Giornata della memoria è proprio questa: i testimoni diretti scarseggiano, oramai, e per scuotere le coscienze e suscitare emozioni in grado di dare un senso e una direzione a tutto ciò serve la forza narrativa delle immagini, dei quadri, delle canzoni. No, dell’arte in generale.

 

NOTE
[Photo credit Erica Magugliani]

Milo Salso

Milo Salso

Acqua, odore dei libri, Sehnsucht

Sono molto curioso: leggo, ascolto e guardo tutto quello che mi capita e stare fermo è la cosa che sopporto di meno. Dopo essermi laureato a Padova in psicologia sociale e del lavoro mi sono trasferito in Austria, nel 2015. Qui, tra bici, hiking e musei, tento di rendere meno amara la nostalgia del mare con frequenti uscite sul […]

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