Oggi, il modello su cui si è basato il pensiero moderno – il cartesianesimo – non può essere più adottato. Molte correnti – tra cui la French Theory, il pensiero ecologista, postumano, femminista – mettono in dubbio questo pilastro della civiltà moderna occidentale, i cui residui è possibile riscontrare, per esempio, nel pensiero più scientista e riduzionista. Si tratterebbe, cioè, di concepire l’io come separato rispetto al mondo, il quale ricopre il ruolo di mero oggetto passivo nei confronti di un soggetto che invece è pura attività. Il rischio di questa rappresentazione del vivente è quella di pensare di poter manipolare qualsiasi ente per soddisfare i bisogni dell’uomo. In altre parole, l’essere umano vedrebbe sé stesso come il solo soggetto possibile in un mondo di oggetti che sono, come direbbe il Martin Heidegger di Essere e tempo, utilizzabili o, peggio ancora, semplici presenze, cioè strumenti oppure cose inerti.
La concezione cartesiana, inoltre, rientra in una visione meccanicista della realtà per cui tutto è scomponibile in pezzi, analizzabile e determinabile, vale a dire come se animali e vegetali fossero solo macchine, caratterizzati da qualità misurabili. Si potrebbe arrivare ad affermare che l’attuale crisi climatica non sia altro che l’estrema conseguenza di una tale visione, in cui le azioni dell’uomo sarebbero quelle di un novello «Prometeo scatenato», secondo l’espressione di Hans Jonas (cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità, Einaudi 2009). Inoltre, anche secondo biologi come Meneganzin, Pievani e Caserini «We Homo sapiens, experienced niche constructors and major evolutionary drivers of the ongoing sixth mass-extinction, are now threatening the survival of our own civilization»1.
Eppure, come accennato all’inizio, ci sono molte correnti che stanno tentando di pensare un nuovo soggetto, o una nuova soggettività, grazie anche al contributo delle scienze della vita, le quali partecipano attivamente alla discussione teorica. Innanzitutto, è bene riconsiderare l’isolamento del soggetto umano rispetto al mondo: non si tratta più dell’io dell’idealismo che rappresenterebbe il polo di un dualismo al cui estremo opposto vi sarebbe il mondo. Al contrario, emerge sempre di più dalle ricerche filosofiche e scientifiche l’impossibilità di scindere il soggetto dal proprio ambiente, dai modi in cui l’uno agisce sull’altro e viceversa, poiché sono coinvolti in un continuo scambio di feedback. Non è possibile, di conseguenza, stabilire una gerarchia dei viventi, una catena dell’essere, che veda al suo apice la specie umana in virtù di un diritto arrogatosi arbitrariamente: l’umanità ormai vive in un ambiente planetario, retto da sottili equilibri che, se spezzati, possono minacciare la sua stessa sopravvivenza. Così, è necessario studiare i viventi come sistemi piuttosto che come enti separati dal proprio contesto: è sotto questa rinnovata luce che anche vegetali e animali divengono “soggetti” di studio, possessori secondo alcune teorie di una soggettività tanto importante quanto quella umana2.
Ma in tutto questo cosa resta dell’umano?
Svuotata di ogni potere, rispetto alla condizione semi-divina proposta dal cartesianesimo, la specie umana sembrerebbe ancora una volta messa fuori gioco – come sembrava dovesse accadere con la rivoluzione copernicana o con l’evoluzionismo, due delle cosiddette ferite narcisistiche che per Freud sono state inferte alla nostra specie. Eppure, non è così. In questo mondo dove ogni vivente è una linea di un immenso tracciato, la responsabilità di ciascuno di noi aumenta nei confronti di ogni cosa esistente: oggetti, tecnologie, viventi e non. Questo accade perché ogni nostra azione ha ripercussioni su ogni altro nodo della rete che è l’ambiente-Terra: vivere ecologicamente, quindi, significa estendere al massimo l’attenzione e la cura per ciò che ci circonda; caricare di responsabilità e rispetto ogni singola azione. Vorrebbe anche dire farsi custodi dell’alterità dell’altro in modo tale da impedire che questo si faccia oggetto e che sottostia, perciò, al volere arbitrario del singolo. La responsabilità che emerge da un approccio ecologico oltrepassa l’illimitata volontà del soggetto cartesiano per aprirsi a un progetto di cura e di planetaria convivenza, in cui ciascuno assume un ruolo imprescindibile e insostituibile.
NOTE
1. A. Meneganzin, T. Pievani, S. Caserini, Anthropogenic climate change as a monumental niche construction process: background and philosophical aspects, “Biology & Philosophy”, 35, 2020, p. 9, https://doi.org/10.1007/s10539-020-09754-2). Lett.: «Noi Homo sapiens, esperti costruttori di nicchie e principali motori evolutivi della sesta estinzione di massa in corso, stiamo ora minacciando la sopravvivenza della nostra stessa civiltà» (ndr).
2. Per quanto riguarda i vegetali rimando agli studi divulgativi di Stefano Mancuso, mentre per gli animali a quelli di Roberto Marchesini.
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Edoardo Poli
Ha studiato filosofia presso l’Università di Pisa. È attualmente ricercatore indipendente e autore di diversi articoli dedicati al pensiero di Emmanuel Lévinas e al concetto di perdono. Gestisce la pagina Instagram ‘filosofia_applicata.