Non sempre i narratori inventano storie di personaggi inesistenti: è possibile raccontare la storia di un personaggio reale inventando i dettagli; si può naturalmente affidarsi a una documentazione precisa per tracciare la biografia di un personaggio reale: i rapporti tra invenzione e realtà si declinano in modi diversi, che si determinano volta per volta con le rispettive regole. Leonardo Sciascia (1921-1989), nel suo breve romanzo (ma già la definizione di genere sarebbe da discutere) La scomparsa di Majorana (1975) sceglie una via ancora diversa: ricostruisce, a partire da precisi documenti, un fatto realmente avvenuto, e alterna liberamente il racconto a pagine di riflessione. Al centro dell’opera non ci sono tanto la vicenda o i personaggi, quanto il costruirsi stesso del racconto, i molti interrogativi suggeriti dai documenti e ai quali l’autore cerca di dare risposta.
Ettore Majorana era un brillante fisico nucleare siciliano, che nel 1938, a poco più di trent’anni, lasciò un biglietto nel quale sembra alludere all’intenzione di suicidarsi; poi si imbarcò su un traghetto in servizio tra Palermo e Napoli e durante il viaggio scomparve nel nulla. Forse si uccise gettandosi in mare (fu la conclusione della polizia, che abbandonò presto le indagini), forse arrivò a destinazione; ma non si poté trovare né il corpo né qualunque altra sua traccia.
Questo mistero è il centro dell’opera, l’oggetto su cui l’autore vuole indagare; e Sciascia – dopo aver raccontato i fatti – cerca di delineare la personalità del protagonista, in cerca di indizi. Conosciamo così il curriculum di studi di Majorana e la sua frequentazione dell’istituto di fisica di Roma diretto da Enrico Fermi; ma anche il suo carattere difficile: uno scienziato di straordinario talento, ma disinteressato a far conoscere i risultati della sua ricerca, come se cercasse di trattenersi.
Nel 1933 Majorana trascorre un lungo periodo di studio in Germania, dove conosce importanti studiosi come Werner Heisembeg; sono gli anni in cui prende piede il nazismo, al quale accenna in alcune delle sue lettere alla famiglia.
Tornato in Italia, il protagonista si ritira per qualche tempo, abbandonando l’istituto di fisica e forse continuando le ricerche per proprio conto. Solo quattro anni dopo viene chiamato a insegnare fisica teorica a Napoli “per chiara fama” (è un artificio per evitare che vincesse un concorso i cui risultati erano già definiti in partenza); ma insegna solo per un breve periodo, fino al momento della scomparsa.
Questi sono i termini del mistero. L’autore ha a disposizione solo degli indizi, può solo formulare delle ipotesi impossibili da dimostrare, ma non si sottrae alla necessità di dare un senso a questa storia: a suo parere Majorana sarebbe scomparso perché aveva intuito le spaventose possibilità dell’energia nucleare in campo bellico (come è noto lo scoppio della guerra diede impulso a queste ricerche, tanto che Hiroshima e Nagasaki vennero distrutte pochi anni dopo). È il tema della responsabilità degli scienziati verso gli uomini: è giusto, è sempre necessario portare a termine una ricerca, quando questa potrebbe avere conseguenze gravissime? Una discussione molto sentita nei primi anni Settanta, quando l’autore scrive il suo libro.
Una tesi forte, che – l’autore lo sa bene – non può essere dimostrata. Nel suggestivo finale, Sciascia allude a questo scacco: dopo aver visitato un convento nel quale si dice che Majorana visse per anni, “sulla soglia, salutandoci, il certosino domanda: Ho dato risposta a tutti i vostri quesiti? (…) Ne abbiamo posti pochi, lui ne ha indovinati molti ed elusi. Ma rispondiamo di sì. Ed è vero”.
Ma il vero senso nel racconto sta nell’indagine, nella ricerca di qualunque possibile indizio. La ricostruzione dei fatti passa attraverso l’analisi del linguaggio dei verbali di polizia, oppure attraverso suggestioni letterarie (Proust, Stendhal e molti altri autori) che forniscono quadri di riferimento, modelli di interpretazione.
E il linguaggio dell’opera risulta denso, severo, lucido, con quel gusto razionalista di stampo illuministico che caratterizza l’autore; dappertutto si avverte l’omaggio all’opera capostipite di questo genere di racconto: la Storia della colonna infame di Manzoni.
Un lavoro lontano dall’oggettività di una ricostruzione storica, e che al tempo stesso rinuncia alle facili scappatoie dell’invenzione; e che si rivela un’indagine sulle possibilità conoscitive della letteratura.
LEONARDO SCIASCIA, La scomparsa di Majorana, Milano, Adelphi, 2004.
Giuliano Galletti
[immagini tratte da: ritratto di Majorana
http://it.blastingnews.com/cronaca/2015/02/photo/photogallery-la-scomparsa-di-majorana-non-e-piu-in-mistero-era-in-venezuela-174829.html ]
copertina
Scansione della prima edizione del romanzo.