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La storia segreta delle puledre trace

Tante sono le congetture che facciamo sull’origine di un’opera che ci appare grandiosa: cosa l’avrà ispirata, cosa avrà provato il suo autore, quanto tempo ci avrà impiegato nel concepirla, come avrà iniziato.

In buona parte, che si tratti di un’opera artistica, filosofica, letteraria, scientifica, la sua origine ultima ci rimane sconosciuta ma la ricerca al riguardo può portare a delle curiosità e a delle ipotesi su cui è sì bello fantasticare ma che allo stesso tempo ci possono dire qualcosa di importantissimo sul significato del fare, dello scrivere, del creare e che trascendono il solo piano della fantasia.

Iniziando con la lirica antica, in numerose poesie troviamo riferimenti simili a quelli che ad esempio ci tramanda il poeta Anacreonte nei suoi versi forse più celebri: «Tu puledra di Tracia che adocchi di traverso e mi sfuggi crudele e mi credi incapace, impara che saprei ficcarti bene in bocca il morso e con le briglie girarti sulla pista: ora va’ per i prati, gioca e balza in disparte, non hai il buon cavaliere che ti sappia montare»1. Pensiamo anche ai passionali versi che Archiloco dedicò alla sua lontana amante o a una qualsiasi delle fanciulle che malinconicamente Saffo dovette osservar crescere e andar via o alla schiava misteriosa che rise all’inciampo di Talete e che ha ispirato tanta letteratura.

In tutti questi casi l’oggetto amoroso o quanto meno poetico resta senza alcuna descrizione e senza nome, rimane a noi eternamente sconosciuto. Immaginiamo una di quelle figure femminili, bella e piena di energia tanto da essere assimilata da Anacreonte all’animale (frequentissimi nella letteratura greca i parallelismi tra donne e animali imponenti, che uniscono nello stesso significato potenza e bellezza), aggirarsi nei pressi della città sotto lo sguardo del poeta, che ne è ispirato e che attraverso l’evento e attraverso lei sigilla nel papiro parole semplici ma millenarie ed essenziali riguardo le cose amorose. L’energia sprigionata da quell’antico fugace incrocio di sguardi è destinato a riverberarsi nelle opere e nei tempi successivi, come specchio del vero testimoniato una volta per tutte.

Quando, secoli dopo, Nietzsche prenderà Archiloco come sommo esempio di uomo dionisiaco e la sua opera come espressione massima di quella «melodia primordiale»2 che è il fondo abissale che soggiace all’essere e a ogni sua manifestazione, intenderà indicare l’opera umana come riflesso di un’origine insondabile e oscura ma che si esprime nell’artista. La sua opera non è che il risultato di un movimento inconscio di natura anche diversissima rispetto al tipo di creazione che offrirà l’artista.

Anche in epoche ben più vicine a noi abbiamo esempi in cui creazione e tribolazioni personali si incrociano: fra i tanti, il rapporto tra Martin Heidegger e Hannah Arendt3.

Heidegger è noto per essere stato un pensatore appartato, attentissimo e concentrato. Le sue opere si rivolgono criticamente ai fondamenti della cultura occidentale in ogni suo aspetto. E nonostante si sia già ampiamente scritto sul come abbia percorso la strada del pensiero, contro chi e che cosa, non si può rimanere stupiti nello scoprire che quel minuzioso ed estenuante lavoro che culminerà nella stesura di Essere e tempo aveva trovato energia e ispirazione profonda nel rapporto con la Arendt, cioè in qualcosa di lontanissimo rispetto al contenuto e ai motivi dell’opera. Anche in questo caso la fonte creativa per un’opera conosciuta come quella del pensatore tedesco, si deve rintracciare dove non lo si avrebbe pensato. Immaginiamo Heidegger, che solo e concentrato nella baita di montagna, trova le forze nel pensiero della sua relazione, di quegli incontri segreti, di quel qualcosa di misterioso e incalcolabile che brillava negli occhi della sua Hannah, che sfociava in un flusso creativo di genere diversissimo ma ugualmente potente in intensità.

Certo, ogni opera assume poi un proprio senso e un proprio posto nel suo contesto. Ciò che non riguarda il suo contenuto viene gradualmente perduto. Ma in certi casi, la ricerca e il pensiero su quelle cose restituiscono il terreno proprio in cui esse sono nate e pur non fornendo informazioni utili a livello strettamente scientifico, comunque allargano l’orizzonte entro cui naturalmente si trovano. E in questo senso si guadagnano una qualche considerazione: è forse un caso il fatto che ad essere giunti fino a noi siano proprio quei frammenti amorosi anacreontei? E che proprio da lui sia partita una delle maggiori tradizioni poetiche? Non siamo più consapevoli della potenza di Essere e tempo alla luce del modo in cui il suo autore intendeva e viveva le relazioni?

Come per l’universo, composto in grandissima parte di materia ed energia oscura, l’energia oscura che circonda ciò che ci sta sotto gli occhi e da cui proviene è parte di ciò che è da indagare e conoscere. Si potrebbe mai tracciare una sorta di storia di ciò che segretamente ha reso possibile ciò che oggi conosciamo nelle sue presunte origini note?

Se comunque quest’idea non porterà mai dei frutti, traiamone almeno ispirazione immaginando quella enorme schiera di personaggi e situazioni che nell’ombra dei tempi danno il vero significato alle nostre piccole e grandi opere.

 

Luca Mauceri

NOTE:
1. Lirici greci dell’età arcaica, Bur, Milano, 1994, p. 247.
2. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano, 1977, p. 46.
3. Elisabeth Young-Bruehl, Hannah Arendt: una biografia, Bollati Boringhieri, Torino, 2006.

[Immagine tratta da Google Immagini]

 

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Luca Mauceri

ironico, sognatore, procrastinatore

Sono nato e cresciuto a Treviso, ora vivo e lavoro a Padova. Mi sono laureato in Filosofia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, dopo essermi appassionato di filosofia antica e contemporanea. Ho pubblicato il saggio La hybris originaria. Massimo Cacciari ed Emanuele Severino (Orthotes) e quando non passeggio o ascolto musica, scrivo articoli e racconti per […]

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