È di qualche settimana fa la notizia secondo la quale l’HFEA (Human Fertilisation and Embryology Authority) avrebbe autorizzato un gruppo di ricercatori del Francis Crick Institute di Londra a manipolare ed alterare geneticamente embrioni umani attraverso la metodologia del gene editing1, per scopi di ricerca.
La tecnica permette di modificare selettivamente il doppio filamento del Dna, andando a “tagliare e cucire” il genoma in punti prestabiliti con lo scopo di eliminare in maniera mirata specifiche sequenze genomiche d’interesse ed eventualmente sostituirle con altre. In particolare, la metodologia in questione si chiama CRISPR/Cas9, un sistema che utilizza molecole di RNA per riconoscere e localizzare la sequenza bersaglio del Dna umano che verrà poi cancellato, sostituito e riscritto utilizzando la proteina naturalmente presente in un batterio (chiamato Cas9 endonucleasi). Si tratta di vere e proprie microforbici molecolari che permettono di tagliare l’elica del Dna nel punto desiderato e sostituirne un tratto. L’obiettivo è lo stesso della terapia genica tradizionale, ovvero, correggere le anomalie del Dna responsabili di patologie genetiche attualmente incurabili. Finora, con la terapia genica tradizionale, si potevano solo inserire nelle cellule versioni funzionanti dei geni difettosi che sono direttamente responsabili delle patologie senza, però, poter controllare precisamente dove finisce il gene terapeutico, ora, attraverso l’editing del genoma, i geni possono anche essere disattivati, corretti e sostituiti attraverso microforbici che permettono di raggiungere il punto preciso della doppia elica del Dna in cui intervenire.
Quello londinese non sarebbe il primo tentativo di editing del genoma su embrioni umani; la scorsa primavera ci fu un esperimento da parte di ricercatori cinesi e fu talmente fallimentare che le riviste Science e Nature si sono rifiutarono di pubblicarne i risultati.
In seguito a questa vicenda la comunità scientifica internazionale ha chiesto, nella condivisione di una preoccupazione comune, di fermarsi a riflettere prima di applicare la tecnica su gameti ed embrioni umani, in quanto utilizzare la metodologia del gene editing per modificare il Dna di esseri umani appena concepiti, o per “scrivere” un nuovo Dna per vite umane ancora da concepire, rende queste modifiche irreversibili nei nati ed ereditabili dai discendenti.
All’International summit on human gene editing2, fortemente voluto da studiosi nel campo della genetica umana e tenutosi a Washington nel mese di dicembre, nella dichiarazione finale si definisce “irresponsabile” un intervento di gene editing su gameti ed embrioni, almeno finchè non verrà raggiunto una soglia sufficiente di sicurezza sanitaria e di consenso sociale sull’appropriatezza di tali applicazioni. Per questi ed altri timori è stato inoltre istituito un gruppo di lavoro che nei prossimi mesi si preoccuperà di tracciare alcune linee guida per la comunità scientifica.
Suscita quindi molte perplessità il caso britannico dell’HFEA che ha autorizzato i ricercatori a condurre esperimenti di alterazione genetica sugli embrioni, soprattutto dopo il tentativo di gene editing della Cina che ha prodotto, negli embrioni, mutazioni impreviste ed imprevedibili e dopo le raccomandazioni in merito dell’International summit on human gene editing.
Inoltre, vorrei menzionare un’ulteriore perplessità: attraverso la tecnica di editing del genoma i diversi geni verrebbero alterati uno ad uno per determinare quali possono interferire negativamente nello sviluppo degli embrioni stessi. Tali embrioni potranno essere modificati fino a sette giorni di vita, ma successivamente non potranno essere trasferiti in utero e verranno distrutti. A questo proposito credo sia da precisare che, da un embrione geneticamente modificato di sette giorni di vita non è possibile dedurre con certezza se l’editing sul genoma sia riuscito o meno e se il nascituro sarà sano, per saperlo è necessario trasferire gli embrioni manipolati in utero, condurli alla nascita e seguirne lo sviluppo per alcune generazioni, pena l’inutilità della manipolazione genetica dell’embrione o del gamete. C’è da chiedersi se interventi del genere possano essere realmente utili, se il gioco vale la candela. Credo sia fondamentale indagare e valutare concretamente già allo stadio della ricerca i problemi etici, sociali, economici, sanitari e giuridici dell’utilizzo della tecnica del gene editing su embrioni e cellule germinali auspicando, inoltre, di poter mantenere sempre la tracciabilità del limite fra modifica del Dna a scopo terapeutico – eliminare le anomalie genetiche responsabili di patologie ereditarie – e manipolazione genetica a scopo migliorativo, confine sempre estremamente labile e facilmente superabile nell’applicazione di tali interventi manipolativi.
Note:
1] Ewen Callaway (2016), Embryo editing gets green light. UK decision sets precedent for research on editing genomes of human embryos, “Nature”, vol. 530, p.18.
2] Per ulteriori delucidazioni http://www.nationalacademies.org/gene-editing/Gene-Edit-Summit/index.htm
Silvia Pennisi
[immagine tratta da www.geneticliteracyproject.org]