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“La tentazione del muro”: da Recalcati una bussola per il presente

«Se alzi un muro, pensa a ciò che resta fuori», scriveva Calvino nel Barone Rampante. È questa la posta in gioco quando si sceglie di rinunciare al “fuori”. Eppure inciampando in quel “pensa” si cade nella controversia di questa scelta: sarà proprio quel muro a stringere un doppio nodo con l’oltre lasciato fuori. L’esclusione non avviene soltanto attraverso barriere fisiche: può vivere anche e soprattutto nelle parole, in quel lessico in cui ognuno di noi viene naturalmente gettato. Il linguaggio ci dona identità, riconoscibilità, diversità. Ma il suo più grande dono è l’apertura.

Lo psicanalista-filosofo Massimo Recalcati nel suo libro ci pone davanti una tela di contrasti: la tentazione di alzare un muro è una pulsione assai frequente soprattutto nel lessico civile, quello della dimensione sociale, lo stesso che per sua natura incoraggia la relazione con l’Altro, senza il quale non potrebbe esistere. L’imprevedibilità del non conosciuto innescherebbe, infatti, l’insicurezza, la paura del nuovo. Per chiarirlo, Recalcati introduce il concetto simbolico di confine, depurandolo dalla rigidità con cui siamo soliti pensarlo: ognuno di noi nasce in uno spazio di massima sicurezza nel quale il proprio Io è libero di fiorire lontano da ogni rischio di contaminazione. Questo non luogo ha un perimetro, una linea di transito immaginaria che, pur rappresentando un limite, apre a un significato più ampio: il superare – valicare – per esporsi all’esperienza, al nuovo.

Ogni confine è quindi un potenziale muro: l’equilibrio sopravvive proprio in questa consapevolezza. Un confine stimola l’impulso all’esplorazione, fortifica quello della protezione: con un muro davanti a noi, al contrario, ogni possibilità risulterebbe serrata. Il superamento di questa impasse può verificarsi solo delineando «confini porosi» che ci assicurerebbero di vivere nell’orizzonte relazionale, preservando la nostra identità. La porosità per Bion, psicoanalista britannico, è il primo vero attributo del confine: una «barriera di contatto», un filtro che separa l’interno dall’esterno. Una porta che apre agli infiniti non-Io.

Recalcati potenzia l’eco di questa immagine: la forza del confine, scrive, risiede soprattutto «nello scambio, nella transizione, nella comunicazione con lo straniero: ogni confine definisce un’identità solo mettendola in rapporto con una differenza»1. In questo consiste la porosità che, venendo meno, lascia spazio alla staccionata, al filo spinato, al muro.

Da un punto di vista politico, «la singolarità appare continuamente impastata nella dimensione sociale»2: l’Io e l’Altro esistono grazie alla relazione che li definisce tali. Nel contesto sociale, quindi, la tentazione del muro intreccia inevitabilmente la pulsione alla libertà. Questa per Recalcati è una parola fondamentale, «se non ‘la’ parola fondamentale»3. È la forza centrifuga che ci spinge oltre il confine. Del resto, per dirla con Sartre, siamo da sempre condannati ad essere liberi: fin dalla nascita siamo «gettati nella libertà»4. L’Altro però, in questo contesto, gioca rispetto a noi un doppio ruolo. Vorremmo conoscerlo ma lo temiamo: sappiamo che è un «luogo di perturbazioni minacciose»5, eppure è grazie a questa alterità che riconosciamo la nostra identità. Nell’Altro che releghiamo dietro un muro si nasconde una parte di noi stessi di cui non eravamo a conoscenza, per timore respinta ma con la pulsione naturale a risalire a galla: noi stessi siamo altri nella misura in cui ospitiamo una piccola traccia di alterità e ne siamo contaminati. È questo il filo di Arianna che ci porta dritti al cuore del paradosso, alla rottura di ogni barriera: la libertà individuale è allo stesso tempo libertà degli altri, e non sussisterebbe senza lo slancio ad uscire dal confine dell’autoconservazione, della difesa del sé.

Al fianco della libertà, sul piano sociale, entra in gioco una seconda componente: la verità. Se nella dimensione collettiva scegliamo di reprimere verità alternative alla nostra, eleggendola ad unica valida, permetteremmo ad un regime totalitario di pensiero di minare pericolosamente il campo d’azione di ogni libertà. Una verità “roccaforte” non ammette confini porosi o differenze: la lezione proviene dagli anni del fascismo, in cui si è consolidata la tensione «a preferire l’obbedienza alla libertà, il muro al mare, la schiavitù alla responsabilità, l’ignoranza alla conoscenza, l’inciviltà dell’odio alla civiltà del patto e della parola»6.

L’impalcatura di un lessico così pensato che insegna a riconoscerci con e in quanto altri crolla come sabbia sotto la lente dell’attualità. Oggi una pandemia ha scansato via ogni porosità di confine: la tentazione del muro è diventata necessità per una ragione socialmente prioritaria, la protezione di tutti. Il lessico civile deve fare i conti con queste nuove disposizioni: libertà e verità individuali sono state chiamate ad autoregolarsi davanti alla legge. Il rischio è alto: la rinuncia dell’Altro, quindi di parte di noi stessi, e un ritorno seppur temporaneo al perimetro dell’individualità. È tutto qui il peso di questo contrordine: guardare alla libertà attraverso il vetro opaco di un muro, mettendo in sospeso l’animale sociale di matrice aristotelica che è in noi.

 

Manila Tortorella

Manila Tortorella, classe 1991, è laureata in Lettere moderne e in Scienze Filosofiche presso l’Università degli Studi di Padova, con un focus particolare sul rapporto tra linguaggio e filosofia politica. Lettrice appassionata, si occupa oggi di comunicazione e ufficio stampa a Milano.

 

NOTE
1. M. Recalcati, La tentazione del muro, Feltrinelli, Milano 2020, p. 15
2. Ivi, p.10.
3-4. Ivi, p.60.
5. Ivi, p.4.
6. Ivi, p.9.

[Photo credit unsplash.com]

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