Il potere, così come lo descrive Michel Foucault1, è qualcosa che si vive perché esistente in atto. Non appartiene a nessuno, ma circola ininterrottamente attraverso infiniti rapporti che si intersecano e si diramano quotidianamente col compito di costruire il mondo. Chiunque di noi lo subisce (azione coercitiva) e lo esercita (azione produttiva) di continuo nel tentativo di ottenere una migliore ridefinizione di sé stesso nella propria realtà. Inoltre, il potere, essendo pervasivo, si esprime anche in ciò che l’individuo produce per esercitarlo: il discorso2, fenotipo del pensiero umano e simbolo di inclusione o esclusione a seconda di chi lo formula, di come lo si articola e di quando lo si proferisce. Si tratta di un passaggio importante per Foucault perché vi individua, nell’ «insieme dei discorsi che domina un’era»3, l’episteme, una macro-narrazione ufficiale che legittima la posizione di potere assunta da qualcuno a discapito di qualcun altro.
Di questa logica del potere si servì il discorso razzista italiano durante gli anni Trenta. Al fascismo occorreva, infatti, qualcuno che potesse elaborare una teoria scientifica capace di appoggiare la guerra di aggressione che il regime si apprestava a condurre contro l’impero etiope. In breve serviva un antropologo come Lidio Cipriani, voce centrale del razzismo antinero sulle pagine della Difesa della Razza, per definire l’etiope un “negro” alla pari delle altre popolazioni sub-equatoriali. Infatti nel suo volume Un assurdo etnico, l’antropologo razzista demolisce l’ipotesi camitica fin allora vigente, secondo la quale gli etiopi sarebbero stati i progenitori di culture “raffinate” come quella egiziana o quella greca e per questo motivo non potevano appartenere alla razza “negra”. Cipriani, in questa maniera, pose al servizio del regime il profilo tipo di una persona dominata solo dagli impulsi della natura, incorreggibile nella sua pigrizia e in grado solo di imitare le azioni dei “bianchi”. Una rapida descrizione di un soggetto da accompagnare paternalisticamente verso la “civiltà” umana (e occidentale), verso quel raziocinio che di lì a poco avrebbe creato la peggior macchina di sterminio di tutti i tempi.
Ritornando alla connivenza fra la politica e la ricerca. Dopo aver confutato le più accreditate tesi antropologiche, altrettanto razziste, per giustificare la fondazione dell’impero, Cipriani, in parallelo alla stabilizzazione dell’insediamento italiano in Africa, introdusse per la prima volta (dalle pagine della Difesa della Razza) l’ipotesi che l’etiope conservasse ancora un tratto mitico della sua originaria superiorità biologica-culturale: uno “spirito bellico” estremamente pronunciato. Una scoperta puntuale che aprì il dibattito intorno all’utilizzo della popolazione maschile etiope come soldati per future conquiste imperiali, fortunatamente mai avvenute.
Lidio Cipriani, per concludere, rappresentò il megafono scientifico del fascismo insieme a molti altri intelletuali. Una tipologia di discorso dalle fondamenta ben salde per quei (presunti) caratteri di rigore, verificabilità e riproducibilità propri del metodo scientifico.
Ogni epoca e ogni parte della Terra ha la propria episteme. Se da un lato appare più semplice scovare le macro-narrazioni passate, dall’altro occorre essere onesti e riflettere su quelle odierne. Idee?
Marco Donadon
NOTE:
1. Si veda M. Foucault, Microfisica del potere: interventi politici, Einaudi, Torino 1977.
2. Per discorso si intende tutte quelle espressioni dell’uomo volte a esercitare, cambiare, appoggiare il potere. O a viverlo per usare un termine caro a Foucault.
3. Benigno, Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia, Viella, Roma 2013, p. 151.
BIBLIOGRAFIA:
1. Benigno, Parole nel tempo. Un lessico per pensare la storia, Viella, Roma 2013.
2. Cassata, La Difesa della razza. Politica, ideologia e immagine del razzismo fascista, Einaudi, Torino 2008.
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