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La musica del cervello a 432 Hz

Suoni, rumori, fracassi. Durante quel breve periodo di militanza nel grembo materno, la prima cosa che abbiamo conosciuto del mondo esterno erano segnali sonori: voci, grida, risate e tutto ciò che è riuscito a destare la nostra flebile attenzione. Un’embrionale consapevolezza di quello che avremmo trovato fuori dalla caverna. Seppur flebile e attutita, la vibrazione sonora dei rumori esterni è stata la prima forma di conoscenza che abbiamo sperimentato.

Il nostro personale – e talvolta ostico – rapporto con la musica nasce da qui, da un piccolo essere vivente che viene bombardato di informazioni acustiche sotto forma di vibrazione. Il percorso delle onde sonore non fa sconti, passa e trapassa ogni parete fino alle membra di un corpo che incassa il colpo, percepisce il segnale e lo manda al cervello. Anche senza un sufficiente sviluppo della coclea (il nostro microfono naturale innestato dentro all’orecchio), schiere di neuroni sensoriali lampeggiano nel buio amniotico del grembo, portano gli input esterni al cervello, per poi ricavarne un output conoscitivo.

Una volta venuti al mondo, però, il rapporto con il mondo sonoro ha cambiato direzione, verso il traumatico mondo della musica per bambini: la lezione di pianoforte. Nessuna gradevole melodia, nessun figlio col violino in spalla a produrre informazioni sonore piacevoli per i vicini di casa. Sono serviti lo sforzo, la tensione, l’olio di gomito dei più tenaci sul pentagramma, per ottenere una comunicazione sbalorditiva, che stimolasse un linguaggio vero e proprio. Con un’improvvisazione musicale si riesce infatti ad attivare persino l’area di Broca, deputata alle funzioni del linguaggio e della comunicazione verbale.

Ogni allenamento a cui è sottoposto il nostro cervello rinforza collegamenti sinaptici, che altrimenti rimarrebbero inesplorati e non ci permetterebbero di evolvere. Per quanto l’avessimo fatto malvolentieri, aver svolto attività musicali in giovane età ha coinvolto e stimolato diversi meccanismi cognitivi: ad esempio produrre o intonare una serie di note stimola capacità attentive, l’apprendimento mnemonico, il confronto, la pianificazione e la conduzione motoria.

Lo sviluppo del senso musicale ci ha indirizzati verso gli elementi stessi dell’Universo: ritmo e armonia, incastrate secondo schemi armonici che la natura ha divinamente riprodotto ovunque nel creato. La sezione aurea con cui è costruito ogni tassello dell’universo (cioè il susseguirsi di precise proporzioni e rapporti armoniosi) ha permesso all’uomo di seguire a tempo ciò che la fisica scandiva a bacchetta, dato che il nostro cervello è particolarmente predisposto a cogliere l’armonia bilanciata dei rapporti aurei della costante di Fibonacci.

La musica sintonizzata sui 432 Hz, infatti, è uno specchio del mondo, rispetta la proporzione aurea e crea una rappresentazione di come l’universo intero produca onde vibranti a 8 Hz. Su questa intensità si attesta la “Risonanza di Schumann”, un delicato e impercettibile rumore dell’universo, che si sposta verso mete inesplorate, producendo vibrazioni vitali per il nostro organismo.

L’avvento del Nazismo invece ha cambiato anche l’accordatura degli strumenti, che da quel periodo in poi è stata mantenuta sui 440 Hz, con effetti sovra-stimolanti al lobo frontale, probabilmente per spremere al massimo la marcia delle truppe tedesche dell’epoca.

È proprio lo scarto di questi 8 Hz che ci allontana dalla fruizione più naturale della musica, quella che invece ci stimola a sincronizzare i due emisferi cerebrali, a produrre creatività e intuizioni del genio umano. Esposti a frequenze addolcite, tarate sui 432 Hz, la nostra ghiandola pineale viene stimolata alla produzione dell’ormone della vita, la somatotropina, un elisir di benessere che non avrebbe bisogno di essere prodotto da alcuna casa farmaceutica.

Se pensavamo di essere stressati per non aver studiato la lezione di pianoforte, forse non sapevamo che l’accordatura in  440 Hz non ci stava aiutando affatto.  Fortunatamente l’esercizio musicale fatto anche a scuola non serviva soltanto a fare un’ora di pausa tra la lezione di italiano e quella di matematica, ma ci ha aperto un varco su un mondo di stimoli percettivi ed emozionali.

I due emisferi hanno iniziato a dialogare con più sintonia: mentre l’emisfero sinistro si attivava nella composizione e memorizzazione di note e scale musicali, quello destro giocava a intrecciare melodie.

Con enorme dispiacere dei nostri genitori non siamo diventati né Mozart né Beethoven, ma possiamo ugualmente fruire dei benefici del “theta mode”, quello stato cerebrale che ci porta ad essere creativi e a stimolare intuizioni di ogni tipo. La creatività si sviluppa dall’alternanza dei due emisferi, come durante una performance di improvvisazione artistica, dove l’area del controllo razionale si sgancia e si spegne, per lasciare spazio a quella autobiografica, all’espressione di sé, che si accende per produrre arte e invenzione.

Giacomo Dall’Ava

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