Lacrime rosse

Era stata una giornata ordinaria per Nora, si era susseguita la solita routine. La sveglia era suonata alle 5.45, si era alzata, si era infilata un paio di scarpe da running ed era andata a correre. Correre per lei è un training mentale, è la prova di essere più forte di quello che immagina. La velocità e la fatica la fanno stare bene, le fanno sentire che ce la può fare. Correre la fa sentire libera, almeno per un po’; la aiuta a posticipare quella sensazione che arrivava ogni giorno, quel vuoto che le opprime il petto e le pulsa in testa.

Tornata a casa, quella mattina si era fatta una doccia, si era vestita e truccata, si era data un’occhiata sbrigativa allo specchio. A Nora non è mai piaciuto guardarsi allo specchio; in generale, non le è mai piaciuto guardarsi.

In piedi, vicino al frigo, quella mattina, come tutte le altre, ha fatto colazione con yogurt e muesli mentre Teo, il suo fiero gatto dal mantello rosso, le passava tra le gambe facendo le fusa. Nora aveva scelto Teo perché voleva qualcuno di cui prendersi cura, senza però che richiedesse troppe attenzioni, voleva una compagnia silenziosa: un gatto era la soluzione perfetta. Un gatto era la soluzione perfetta anche per avere un alibi di quei graffi che le comparivano sul braccio e che troppo spesso attiravano domande curiose. L’aveva scelto rosso, il gatto; il colore universalmente considerato simbolo della vita, il colore dominante sugli altri. Il mantello rosso le pareva donasse regalità, potere, energia e coraggio. L’aveva scelto rosso tabby proprio come il gatto di Audrey Hepburn in “Colazione da Tiffany”, il film preferito da Nora. Holly Golightly, personaggio leggiadro e complesso, eterna bambina, irrequieta e per certi versi ingenua anche se determinata a dimostrarsi “vissuta”; anche Nora si sentiva così.

Quella mattina, forte ancora del rilascio di endorfine dovuto alla corsa, Nora era andata in ufficio a consegnare il suo quaderno di tendenza in cui aveva riassunto tutte le informazioni raccolte durante il suo ultimo viaggio a Tokyo sotto forma di reportage fotografici. Nora è una ricercatrice di tendenze per una casa di moda: si occupa di analizzare mercati e società dal punto di vista estetico, sociologico, antropologico, culturale e raccoglie informazioni sul gusto collettivo frequentando ambienti artistico-culturalio settoriali. È brava nel suo lavoro Nora, si impegna al massimo, sfrutta la sua capacità innata di analisi e sfama la sua curiosità. Questo lavoro la porta a viaggiare molto e forse è stato proprio questo il motivo che l’ha spinta maggiormente verso questo ruolo professionale. A Nora non piace stare a lungo nello stesso posto, costruire legami, permettere che qualcuno le si avvicini troppo. Non le piace perché la spaventa, perché si sente inadatta, sempre e con tutti.

Nora ha trascorso la sua giornata in ufficio, è stata frenetica. Proprio quello che le serviva. Ora è in macchina e sta tornando a casa. D’improvviso comincia a sentire dentro di sé una strana sensazione, come un disagio, una velata malinconia. La tensione si fa sempre più forte, inizia a provare un’angoscia che non le lascia alcuna scelta, non le lascia risorse. Deve liberarsene. Così accosta. Apre il cruscotto della macchina. Prende il “suo” astuccio. Passa un batuffolo di cotone imbevuto d’alcol sul braccio. Poi, con una lametta, un gesto veloce e compare un filo rosso. Nora rimane li, nella solitudine della sua macchina, a osservare il sangue che esce, le sue lacrime rosse, finché non si sente meglio. In quei momenti si sentiva morta dentro, non riusciva a piangere, a sfogarsi. Si sentiva prigioniera, prigioniera del nulla. Se allora si tagliava scopriva che era viva, che esisteva. È molto più semplice guarire una ferita all’esterno che una al cuore per il semplice fatto che una la si vede guarire giorno per giorno, l’altra sembra non guarire mai.

Nora rende concreto il suo disagio guardando il suo corpo soffrire e guardandolo poi all’opera mentre guarisce la ferita. Le ferite guariscono e spariscono. Per un po’ si occupa solo del dolore fisico, distogliendosi temporaneamente da quello interiore, e poi restano i segni che le ricordano le sue battaglie. L’urgenza di Nora di tagliarsi è un gesto simbolico che permette al suo malessere più profondo di uscire fuori, recando uno stato di sollievo. Nora da voce alle sue parole dimenticate, le sue radici spingono per uscire da sotto la pelle; ma per Nora è una questione privata, è negata al mondo. Nora si taglia in zone poco visibili del corpo e le giustifica con le scuse più idonee, accompagnata sempre dalla paura di non essere normale, di compiere un atto inaccettabile ma a cui non riesce a sottrarsi.  “Mi ha graffiato Teo, il mio gatto”, sembra essere la sua nenia, il suo canto triste e monotono.

L’autolesionismo è un fenomeno del quale si parla pochissimo e poco affrontato anche dal punto di vista scientifico, ma la cui percentuale d’incidenza è in continuo aumento. È un fenomeno tipicamente femminile, perché le donne risultano più predisposte a mantenere e risolvere dentro di sé eventuali conflitti e tendenze aggressive; spesso si accompagna ad altri disturbi, quali anoressia e bulimia. Sono gesti che racchiudono una profonda sofferenza e che concedono a chi li attua una tregua; sono parole dimenticate che devono essere ritrovate per essere sostituite al sangue, per trovare una tregua nella comprensione piuttosto che in una lametta.

 Giordana De Anna

[immagini tratte da Google immagini]

 

 

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