Ogni volta che categorizziamo, cataloghiamo, raggruppiamo e selezioniamo, c’è un po’ di Aristotele in noi. È a lui che infatti dobbiamo la formulazione della dottrina delle categorie, che permette di dare la forma al mondo per come è, come lo vediamo e come lo conosciamo, secondo la sua sostanza, la qualità, la quantità, la relazione.
La sua fortunata intuizione ha permesso di porre basi culturali completamente nuove che fino ad oggi ci connotano come civiltà progredita e soprattutto scientifica. Come infatti sarebbe pensabile la sistematizzazione e la sperimentazione tipiche del metodo scientifico senza la schematizzazione del mondo e dei suoi enti?
Questo approccio, oltre a questa incalcolabile influenza, ci ha potuto donare già dall’antichità opere molto particolari. È il caso dell’opera più conosciuta di Teofrasto, discepolo e amico di Aristotele, nonché continuatore della sua scuola e del suo pensiero. La sua opera più celebre e a noi arrivataci integra, i Caratteri, non è che un breve trattatello di fenomenologia dei costumi, come si direbbe oggi, che colleziona e descrive accuratamente una buona quantità di atteggiamenti, inclinazioni, vizi, profili psicologici della Grecia del IV secolo a.C. Si ha modo così di sapere cos’era solito dire e fare lo zoticone ateniese del tempo, quali fossero le chiacchiere superficiali della piazza, cosa cercassero gli avari e gli scalatori sociali di allora. Ma anche quali erano le paure, le credenze, le scaramanzie, tutto con il sottofondo e l’atmosfera di quella che è stata forse la civiltà più interessante in assoluto: nella lettura sembra di sentirne il chiacchiericcio delle piazze, il rumore dei carretti per le strade, il vento fresco appena fuori dalle porte cittadine, i profumi del mercato.
L’impostazione dell’opera è evidentemente aristotelica, strutturata a catalogo e descrizione scientifica dei caratteri dei suoi contemporanei. Ma data l’impostazione e l’oggetto studiato si ottiene un miscuglio davvero sui generis a livello di tipologia di scritto e di tono. Teofrasto non vuole essere lezioso e moralista, ma quasi suscitare il riso per i suoi lettori di allora e per quelli di oggi: chi non sorriderebbe al fatto che anche in quei tempi la gente andava in giro dicendo «la gente d’oggi è molto più cattiva di una volta» o che «in città ci sono troppi stranieri»? E proprio in questo sta la preziosità di un testo più unico che raro come questo: utilizzare un metodo semplice e diretto, quasi schematico, da ragioniere, per far entrare il lettore in un luogo e in un tempo lontani, mostrandone l’estrema vicinanza e somiglianza a noi. Che di questa somiglianza, che mostra il fatto che dopo tutto gli uomini non cambiano mai, dovremmo rallegrarci all’infinito o deprimerci sconsolatamente, non è dato sapere. A ognuno la propria scelta.
Ma resta il fatto che sapere in cosa non possiamo essere cambiati e cosa non può essere eliminato a livello sociale, psicologico e culturale, può dare ottimi spunti per il nostro sapere e il nostro fare in quanto uomini del terzo millennio, pieni di aspettative e progetti forse troppo campati in aria e ambiziosi.
Concederci una passeggiata leggera tra le pagine dei Caratteri insegna a saperci prendere un po’ in giro e di riflesso anche a capire dove e quando essere seri.
Luca Mauceri
[Immagine tratta da Google Immagini]