Se pensiamo all’etimologia del termine vacanza, dovremmo stupirci di quanto ci stiamo allontanando, nella pratica, dal suo significato originario. Esso, infatti, deriva da vacans, participio presente del verbo latino vacare, cioè mancare, essere privo. Un senso di vuoto e di libertà dovrebbero quindi accompagnare il nostro stare in vacanza. Privi di impegni lavorativi, potremmo sentirci liberi di pensare a noi stessi, di svuotare le nostre giornate da tutte le incombenze che di solito le appesantiscono. Invece, molto spesso ci troviamo a fare i conti con prenotazioni da gestire, orari da rispettare, chilometri da fare in macchina o con altri mezzi e lunghe file che mettono a dura prova anche il più saldo dei sistemi nervosi. Ma non è finita, perché poi veniamo assaliti da numerose preoccupazioni. “Starò facendo abbastanza?” “Sto investendo questo tempo estivo nel migliore dei modi o lo sto sprecando?” “Forse potrei fare di più!”
Mentre siamo impegnati a barcamenarci in tutti questi pensieri, può capitare che la vita si prenda gioco di noi. Improvvisamente succede qualcosa di inaspettato. Senza avvisarci e senza darci il tempo di pensare, veniamo fermati da una malattia, da un imprevisto, da una difficoltà che rovinano i nostri piani e ci costringono a disdire un viaggio, a cambiare destinazione e soprattutto ad accettare che tutto ciò accada. Ma è proprio allora che, a nostra insaputa, si aprono nuove opportunità. È in quel preciso istante che la parola vacanza comincia a riappropriarsi dei suoi connotati e a regalarci assaggi di autentica libertà. Svincolati dal peso del dover fare, prosciolti dalla politica del divertimento a tutti i costi, diventiamo finalmente capaci di svuotare le nostre giornate e di concentrare l’attenzione su ciò che può renderci davvero felici.
Non si tratta più di fare, ma di esserci. L’incontro con un amico che non vedevamo da tempo, una passeggiata in mezzo al bosco, qualche ora di perfetta solitudine o il bagno nell’acqua pulita di una sorgente. In quei momenti avvertiamo dentro di noi una sensazione nuova, un benessere che non sentivamo da tempo. Come se un alone di serenità ci stesse avvolgendo.
È una questione di energie che entrano in contatto. «Tutte le cose esistenti hanno vibrazioni, ossia hado» afferma Masaru Emoto nel suo libro Il vero potere dell’acqua (Edizioni Mediterranee, 2007). «Quest’energia spesso è positiva o negativa e si trasmette facilmente ad altre cose esistenti. […] Se due cose hanno la stessa frequenza, armonizzano, vibrano in sintonia. È facile capire, quindi, come noi umani possiamo produrre liberamente il nostro personale hado e come altre cose che hanno lo stesso hado possano entrare in sintonia con noi. Inversamente anche noi possiamo armonizzare con un hado proveniente da altre cose» (ivi). Il segreto non sta dunque nello sperimentare chissà quale esperienza, ma nel trovare gli hado più consoni al nostro stato energetico. Bisogna mettersi in ascolto dell’altro e sostare nelle vicinanze.
Secondo lo scrittore, tra tutti gli elementi naturali, l’acqua è forse quello più sensibile agli hado. Dai suoi esperimenti, essa modificherebbe addirittura la forma dei propri cristalli in base a ciò con cui viene in contatto. Non dimentichiamo che il primo filosofo della storia, Talete, constatando che tutto sulla Terra ha natura umida, identificò proprio nell’acqua il principio originario– ἀρχή (archè) – da cui ogni cosa prende vita e su cui ogni cosa si fonda. Per primo egli sostenne l’esistenza di un principio unico, causa di tutte le cose che sono (cfr. Diels-Kranz, 11 A 12).
Chi può negare di aver provato un senso di profonda serenità, osservando dalla riva le acque trasparenti di un mare non contaminato? E quale benessere dà l’arrivo di una pioggia dopo un periodo di siccità? Noi stessi siamo fatti per il 70% d’acqua. «Possiamo dire che la nostra vita inizia nell’acqua e finisce nell’acqua – continua Emoto – un feto che si sviluppa nel ventre materno, ripercorre il processo evolutivo dell’intera umanità – dalle sue origini nel mare, fino all’attuale forma umana. Il liquido amniotico ha componenti simili a quelle dell’acqua di mare» (ivi).
Durante il periodo dedicato alla vacanza, paradossalmente, molti mari vengono presi d’assalto e nelle spiagge la gente è disposta a pagare per stare a poco più di un metro dall’ombrellone di fianco. In questa situazione, anche leggere un libro è diventato difficile, figuriamoci entrare in sintonia con l’hado delle persone, dell’aria e dell’acqua.
Potrebbe essere arrivato il momento di ripensare al significato primordiale delle nostre vacanze: svuotare, togliere, eliminare. Solo così potremo ritrovare il nostro posto, scoprire la forza che si nasconde nelle piccole cose e riappropriarci dell’energia che fin dalla nascita la natura ci ha donato.
NOTE
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