“Che Le mamme frigorifero, fredde, anaffettive, generino autismo è una balla colossale.” Parte in quarta Lucio Moderato uno dei maggiori esperti internazionali di autismo e responsabile del comitato tecnico e scientifico della fondazione Oltre il labirinto. “Non è colpa neppure dei papà lavastoviglie, quelli che se ne lavano le mani e vanno via, l’autismo è una condizione, non una malattia, è come avere le gambe corte, i capelli rossi, la statura bassa. E siccome non è una malattia non puoi guarirla.”
Nella storia della medicina il termine autismo (dal greco autos, che significa stesso) fu usato per la prima volta dallo psichiatra svizzero Eugen Bleuler per definire la perdita di contatto con la realtà, “il pensiero circolare che si chiude in se stesso” nei pazienti schizofrenici. Ma a descrivere e a riconoscere questa sindrome negli anni Quaranta furono il viennese Hans Asperger e l’austriaco naturalizzato statunitense Leo Kanner, e solo negli anni Novanta si cominciò a escludere che l’autismo avesse delle cause psicologiche.
“Ma non c’è un esame, un test di gravidanza che possa predire questo modo di essere provocato dalla combinazione fra sette geni e il fattore ambientale. Le variabili sono infinite, basti pensare a quante composizioni danno vita le note musicali. Si può pensare a un vaso: non sappiamo quanto sia pieno di predisposizione genetica, a volte è colmo e basta una goccia di fattore ambientale, altre volte è mezzo pieno e allora non si sviluppa se non in un ambiente ostile.
Le gradazioni sono infinite, dal bambino con bassa capacità intellettiva e disabilità, a persone come Steve Jobs, Bill Gates e, si ipotizza, anche Van Gogh.
Il loro cervello, l’hardware, è sano, quella che funziona diversamente è la mente, il software. La mente è paragonabile a una botte aperta capace di modificarsi attraverso le secchiate di informazioni che provengono dai cinque sensi: vista, udito, olfatto, gusto, tatto. La mente del soggetto autistico, invece, è una damigiana nella quale le informazioni entrano una alla volta, per questo quando seguo un soggetto autistico non mi posso mai fermare, devo essere una goccia che scava la pietra, lento, inesorabile. Non servono mille cose, i bambini autistici hanno bisogno di essere capiti e seguiti con lentezza, di imparare cose semplici e fondamentali: mangiare, mettersi le scarpe, lavarsi i capelli.
Una volta chiesi a un gruppo di bocconiani che valore, da uno a dieci, davano alla loro laurea, risposero in coro: Dieci. Poi chiesi che valore attribuivano alla capacità di infilarsi le mutande da soli e il voto più alto fu tre. In realtà se non avessero appreso a vestirsi, se qualcuno non gliel’avesse insegnato, non si sarebbero mai laureati.
Altra differenza fondamentale del software è che le informazioni dei cinque sensi giungono una alla volta e molto amplificate. Un ingegnere mi raccontava che da bambino il momento peggiore era quando la mamma lo portava a spasso nel passeggino, il cigolio delle ruote era insopportabile, come quello del gesso sulla lavagna; le vibrazioni dell’asfalto violente. Allora si metteva a piangere e la mamma lo prendeva in braccio facendogli male perché la pelle è più sensibile.
Vivono in una discoteca di colori che abbagliano, rumori assordanti e forti vibrazioni. Il loro sorriso spesso è un segno di difficoltà, di paura, e non di felicità. Sentono meglio se sentono meno. Le feste di compleanno e le passeggiate in città sono un inferno. Quando si tappano le orecchie, mettono una mano davanti alla faccia, chiudono gli occhi o guardano di lato, è per sfuggire all’intensità del mondo.”
(Lucio Moderato racconta l’autismo, incontro promosso dal Soroptimist club di Conegliano, auditorium Dina Orsi, 14 novembre 2014)
Mario Anton Orefice
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[immagini tratte da Google Immagini]