La filosofia di Plotino (203/205-270 d.C.), per quanto di non immediata comprensione e all’apparenza avulsa dalle esigenze strettamente “scientifiche” del pensiero contemporaneo, rappresenta, se opportunamente interrogata, uno strumento d’indagine e di riflessione più che valido, anche per chi di filosofia è solito disinteressarsi. Sono note le sue Enneadi, monumentale raccolta di trattati (cinquantaquattro in tutto), frutto delle sue lezioni a Roma, edite e pubblicate dal discepolo Porfirio. Qui Plotino dà prova della sua profonda ed articolata conoscenza dei dialoghi platonici, affrontando le principali problematiche dottrinali interne all’Accademia, interpretandole e rielaborandole alla luce di un serrato confronto con le critiche mosse da Aristotele e dalle filosofie ellenistiche.
L’argomento astrologico, tra i molteplici e vari di cui Plotino scrive, non solo non risulta di secondaria importanza, ma si colloca al centro di alcune dottrine centrali: l’eternità del cosmo sensibile, l’anima non discesa, il rapporto tra quest’ultima e la materia, la questione del destino e della libertà del singolo individuo. Occorre considerare, prima di delinearne i tratti peculiari, che Plotino confuta con estrema risolutezza, e in più di un trattato, una concezione deterministica degli astri, cioè quella che vuole che a seconda del loro posizionamento nei segni dello zodiaco e della loro influenza reciproca e sul nostro pianeta, essi possano provvidenzialmente causare gli eventi che hanno luogo nella vita degli uomini, rendendoli ciò che sono.
Il punto di partenza è il trattato II 3 (Sull’influsso degli astri), in cui Plotino, dopo aver dedicato molte pagine all’origine dell’universo, alla sua costituzione e al movimento dei cieli, si preoccupa di offrire una spiegazione dettagliata di quale sia la relazione che sussiste tra gli astri, che egli ritiene essere dèi inferiori ed intelligenti, provvisti di vita eterna, ed il mondo sublunare, corruttibile e soggetto ad ogni imperfezione in quanto copia di un archetipo intelligibile, dimora degli dèi superiori (le idee). Dunque evidenzia fin da subito l’assurdità dell’ipotesi degli astrologi, i quali attribuiscono agli astri caratteri, inclinazioni ed impulsi che sono propri soltanto degli uomini: essi si adirano e si rallegrano causando, attraverso le figure che assumono nello spazio, un determinato stato della nostra esistenza, divenendo per noi benefici o malvagi a seconda dei casi. Afferma, infatti, Plotino: «Ma come potrebbero gli astri renderci sapienti oppure ignoranti, grammatici o retori, citaredi o esperti in altre arti, o ancora ricchi o poveri?» (Plotino, Enneadi, UTET, 1997, II.3.10-15); inoltre tale visione semplicistica delle cose non sa rendere ragione di tutta una serie di incongruenze logiche, che finiscono per dare luogo ad una gigantesca impalcatura di superstizioni. Plotino si domanda, in effetti, perché non tutti i pianeti che si trovano negli stessi luoghi e nelle stesse figure esercitano i medesimi influssi su di noi, oppure perché alcuni gioiscono e altri soffrono per il solo fatto di declinare o trovarsi al centro nei vari segni zodiacali, oppure ancora perché gli astrologi si rifiutano di presagire gli stessi eventi anche nel caso di altri esseri viventi nati nel medesimo luogo e nel medesimo momento.
Dunque non si può ammettere che gli astri sono le cause dirette – egli sostiene – delle vicende che si verificano quaggiù, quanto piuttosto che sono segni di ciò che accade in virtù dell’affinità, del legame che unisce tutte le parti dell’universo sensibile, che è uno e molteplice al tempo stesso. Plotino scrive: «Ora, tutto è pieno di segni, e sapiente è chi sa apprendere una cosa dall’altra» (ivi, II.3.11-14), volendo con questo intendere che esiste una coordinazione, una simpatia che, per chi sa leggere gli astri come se fossero dei simboli scolpiti in cielo, spiega la stretta relazione reciproca tra essi e gli eventi che accadono in determinati luoghi del nostro mondo. Plotino afferma ancora che «il movimento degli astri serve alla conservazione dell’universo, ma compie in aggiunta un altro servizio: chi ad essi guarda come se fossero lettere e conosce questo tipo di scrittura, legge dalle loro configurazioni il futuro» (ivi, III.1.18-23), e ne scopre il significato attraverso il metodo dell’analogia. Siccome il cosmo è una totalità vivente composta di parti che svolgono ciascuna la propria funzione, secondo una necessità, un ordine naturale che imita quello perfetto di un modello sovrasensibile, chi sa scorgere la vera configurazione dei pianeti coglie al tempo stesso la struttura ed il movimento di ciò che è inferiore ad essi e che, però, con essi si muove in armonia e all’unisono, come fanno le braccia e le gambe di un esperto danzatore. Con questo argomento Plotino non solo evita di ridurre l’astrologia a scienza deterministica, e così a superstizione ed arrogante ignoranza, ma inaugura anche una specie di semiotica universale, per dirla in termini non plotiniani, capace di salvare l’autodeterminazione dell’anima – cui spetta propriamente il rango di unico principio del libero arbitrio. Occorre pensare agli astri non come a potenti cause che operano in modo casuale sulla natura degli uomini, bensì come a specchi che rivelano le somiglianze di una materia ovunque animata.
NOTE
[Photo credit Josh Rangel via Unsplash]