Il mondo della giustizia (penale) è un mondo di decisioni. Il giudice è il decisore per eccellenza. Nelle sue mani sono racchiuse le sorti dell’accusato. A sua volta l’accusato è imputato di aver deciso di trasgredire le regole su cui si fonda la comunità in cui vive. Le scienze cognitive affrontano il tema della decisione mettendo in luce come il cervello, con i neuroni, le sinapsi ed i neurotrasmettitori, determina le decisioni nell’interazione col mondo, utilizzando i percorsi “stampati” nelle connessioni cerebrali. Tutto questo è il frutto dell’apprendimento. Questo è il vero pilota della nostra vita, spesso automatico in quanto “sicuro di sé” (l’apprendimento serve proprio a non dover sempre “ragionare” su ogni scelta) e gioca una partita a scacchi con il DNA ed il caso. Ne scaturisce un uomo ben diverso da quel “legislatore universale” che vorrebbe Kant; chi potrebbe dirsi capace di decidere in modo così “angelico” come avrebbe voluto il Padre Nobile dell’illuminismo? E’ vero, l’Occidente è figlio di quella tradizione che, però, presa dogmaticamente, rischia di trasformarsi in un paradigma antistorico. Il diritto penale applicato è uno dei campi che restano maggiormente ancorati a questo dogma. Il giudice deve decidere secondo il suo “libero convincimento” ed il reo deve aver deciso con “libertà d’intendere e di volere”.
Sia concesso qualche ragionamento sul giudice. Il codice impone che la decisione sia logica, libera, rispettosa delle regole processuali. I caratteri quasi religiosi di questo strumento di gestione della collettività sono di immediata intuizione. La toga, lo scranno ed i simboli dell’Ordine giudiziario ne sono la rappresentazione “pop”. Questi sono solo all’apparenza inutili. Lo “jusdicere” deve affascinare, fare paura, creare rispetto. E non essere discusso nei suoi aspetti più profondi: quelli che attengono alla libertà del decidere. Oggi qualsiasi scienziato cognitivo afferma che è una chimera sostenere la piena logicità del nostro fare; le euristiche e cioè le scorciatoie che in ogni istante il cervello plastico prende per agire senza sorprese, determinano il fare e convincono la coscienza di aver scelto “la via giusta”. Talvolta è così; altre volte si tratta di trappole mentali che determinano i bias cognitivi e cioè errori di rapporto tra il mentale e la realtà che vuole una risposta. Questi colpiscono tutti, sempre. Sono modalità decisorie normali, utili ed adattive. Insano sarebbe un metodo diverso. E’ vero per tutti e tutto tranne che per il giudice? Non risultano individuate da nessuno le trappole mentali e dunque le euristiche causatrici di bias cerebrali specificatamente riferite alla funzione della decisione giudiziale. Di contro, la psicologia cognitiva, come è noto, ha catalogato quelle più comuni che inficiano il ragionamento.
Un seppur superficiale e non esaustivo elenco delle trappole mentali giudiziarie è necessario ed utile per una corretta comprensione della decisione giudiziaria. Alle comuni euristiche possono affiancarsi le seguenti trappole mentali tipicamente giudiziarie:
Tolomeo mental trap: la trappola mentale di Tolomeo riguarda tutti gli errori nei quali può incorrere il giudice rispetto alla prova tecnica o scientifica. Tale fonte conoscitiva esula infatti dalle sue competenze e dunque chi decide può essere fuorviato dall’idea astratta che un certo mezzo conoscitivo porta con sé (si pensi alla prova del DNA) trascurando le emergenze che nel singolo caso possono rendere non affidabile la fonte di prova.
Aristotele mental trap: la trappola di Aristotele consiste nel rischio che il giudice confonda il tipo di sillogismo da applicare in sede giudiziaria; in specie non utilizzi il metodo induttivo che va dal particolare (la fonte di prova) al generale (la prova della commissione del fatto) ma si attesti sul sillogismo deduttivo che, per definizione, non dimostra nulla in quanto la premessa maggiore contiene già la conclusione.
Wig mental trap: è la trappola della parrucca (simbolo del giudicante ma anche delle parti processuali). Si può verificare ogni qualvolta il giudice non valuti la prova così come offerta dall’istruzione ma faccia prevalere il proprio ruolo di garante della collettività e dunque si trovi a decidere in base a ciò che ritiene giusto per il ruolo ricoperto più che in base agli atti.
Josef K mental trap: è la trappola mentale dell’accusato. Nel celebre romanzo di Kafka (Il Processo) Josef K viene accusato e condannato e il protagonista stesso non trova la modalità per dimostrare l’infondatezza dell’accusa.
Giovanna d’Arco mental trap: la trappola mentale di Giovanna d’Arco può colpire il giudice nella valutazione della deposizione vittima del reato. In questi casi il giudice può dare eccessivo credito alla versione di chi lamenta di aver subìto un reato oppure, al contrario, la vittima può essere, a suo volta, “vittima” di uno svilimento delle proprie ragioni.
Dr. Watson mental trap: è la trappola mentale del poliziotto. Investe il giudice ogni qualvolta crede alla ricostruzione della polizia anche se questa diventa un postulato.
Black money mental trap: la trappola del “denaro nero” riguarda il giudizio che attiene ogni utilizzo sospetto del denaro stesso.
Eyes mental trap: la trappola mentale degli occhi attiene a tutte quelle situazioni in cui il giudice deve porsi nella condizione di “cosa avrebbe visto” l’agente prima della commissione del fatto e non già “guardando” al suo comportamento in ragione dell’evento accaduto.
Ink mental trap: la trappola dell’inchiostro si ha ogni volta in cui il giudice è chiamato a decidere sulla base di documenti o, ancora di più, di intercettazioni trascritte. Queste ultime possono infatti essere lette in svariati modi e sensi in quanto la trascrizione scritta delle medesime non permette di comprenderne i toni e dunque il valore “indiziante” delle medesime.
Due process of law mental trap: la trappola mentale del “giusto processo” è l’errore di sistema processuale per cui il giudice sente per prima la versione dell’accusa. Questa garanzia giuridica per l’accusato, sul fronte delle scienze cognitive, costituisce trappola mentale in quanto i neuroni vengono “segnati indelebilmente” dalla prima versione proposta (al giudice).
Pop justice mental trap: la trappola causata dal “lato pop” della giustizia attiene a tutte quelle influenze esterne che possono riverberarsi sul processo (si pensi alla così detta giustizia mediatica) ma ancora di più riguarda la funzione general preventiva della pena. Questa infatti può portare il giudice a decidere proiettandosi verso la società e non già rimanendo strettamente legato alla prova.
Old sage mental trap: è la trappola mentale del “vecchio saggio” o “saggio precedente giurisprudenziale” preso in esame dal giudice. In realtà è esperienza comune verificare come la giurisprudenza, anche consolidata, non sia sempre immediatamente utilizzabile come “stare decisis” in una nuova.
Hans Georg Gadamer mental trap: la trappola mentale di Georg Gadamer si verifica ogniqualvolta in giudice applica l’ermeneutica in luogo dell’epistemologia. L’ermeneutica, infatti, metodologia tipica dello storico, consente di “riempire” i vuoti informativi usando la scienza propria dell’interprete. Comprendere le trappole mentali del giudice non è un modo per svilirne l’attività ma, anzi, per consentire una maggior aderenza giuridica delle sentenze alle esigenze imposte dalle regole sulla prova penale.
Luca d’Auria
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