Nel suo Le massif du Mont Blanc l’architetto francese Viollet-le-Duc propose un progetto alquanto singolare: riportare il Monte Bianco alla sua grandiosità primordiale, vale a dire “ristrutturarlo”. Immaginate la vastità di un’opera simile: migliaia di operai impegnati tra i ghiacci a rimodellare la natura, a combattere il tempo ripristinando quello che i millenni hanno rimosso.
Il proposito di costruire una montagna, o anche solo di “aggiustarne” una, trova molti corrispettivi nella filosofia. Servono certamente molti meno operai nel caso delle costruzioni filosofiche, ma in quanto a complessità e ambizione (e aggiungiamoci anche fattibilità) molte di queste non hanno nulla da invidiare al progetto di Viollet-le-Duc.
Oggi, tuttavia, ci terremo distanti da ogni impresa pomposa, tanto dagli schemi che vogliono inquadrare il mondo quanto da quelli che lo vogliono determinare. Oggi non faremo della cucina un cantiere di opere immortali e men che meno sfideremo la fisica per raggiungere vette di panna inusitate. Oggi, ciononostante, faticheremo, sia fisicamente che mentalmente, perché una montagna ci attende comunque. Davanti a noi c’è la più impervia delle scalate, ma la meno appariscente. Quella che sale lungo il crinale di noi stessi.
Entriamo in cucina e «presentiamo noi a noi stessi, come argomento e soggetto» (Montaigne, Saggi, Libro II, VIII), perché noi stessi saremo la materia di questo dolce. Non affronteremo sistemi astratti, sillogismi astrusi, complesse guarnizioni o cotture ardite. Ci spetterà, con umiltà e onestà, senza affettazione né artificio, di indagarci.
Ci troveremo stanchi e soli, chini a spellare una catasta di castagne, e non ci sarà nessun metodo a guidarci. Allora dovremo armarci di pazienza ed essere pronti a tornare costantemente «al dubbio e all’incertezza e alla [nostra] forma dominante che è l’ignoranza» (Libro I, L). Ma soprattutto non dovremo preoccuparci di quanto maestoso e impeccabile sarà il risultato finale. Quelli che sforneremo dopo ore di dura fatica saranno piccoli promontori scomposti, non troppo belli, forse brutti, che rappresenteranno, però, sinceri innalzamenti verso la comprensione di noi stessi. Ogni tanto, all’ennesima castagna, subentrerà lo sconforto e ci capiterà di dire: «non mi trovo dove mi cerco; e trovo me stesso più per caso che per l’indagine del mio giudizio» (Libro I, X), ma senza quel desiderio di investigarci, di entrare in colloquio con noi stessi, ci potrà capitare solo di perderci del tutto.
Se infine ci sembrerà, facendo tutto questo, di far tutt’altro che filosofia, se ci diremo che i grandi pensieri coinvolgono ben altri temi, che la filosofia è seria e precisa (e così la pasticceria), allora ricordatevi che la filosofia «si ha gran torto a descriverla inaccessibile ai fanciulli, e con un viso arcigno e terribile […] Non c’è nulla di più gaio, di più vivace, di più giocondo e, direi quasi, burlone. Essa non predica che festa e buon tempo. Una cera triste e sconsolata dimostra che la sua dimora non è qui» (Libro I, XXVI).
La gloria del bel dolce e il complimento per il virtuosismo oggi non fanno per noi. È l’impegno quotidiano – la lenta cura per la nostra virtù – il vero Mont Blanc che oggi cominciamo a cucinare scalare.
Persone: tutti gli alpinisti interiori
Tempo di preparazione: prendetevelo un pomeriggio
Ingredienti
500 gr castagne o marroni
400 gr latte
80 gr zucchero semolato
3 gr sale
15 gr cacao
40 ml Rum o Whisky
500 gr panna fresca
violette candite e meringhette
PREPARAZIONE (lenta e faticosa)
La montagna che ci attende si costruisce a partire dalla più gran fatica, ma superata questa, ogni passo in salita sarà più semplice del precedente. Mettiamo le castagne lavate ed incise con un coltellino a bollire per circa 20 minuti. Una volta morbide, iniziamo a spellarle una a una, lasciando le altre nell’acqua calda in modo da non rendere la nostra impresa ancora più impervia. Se superiamo questo momento duro, poi possiamo rilassarci per circa 15 minuti: mettiamo le castagne spellate in un pentolino con il latte, lo zucchero e il sale. Lasciamo ammorbidire fino a che il composto non risulterà uniforme. Spostiamo in una boule e aggiungiamo il cacao setacciato e il liquore scelto. Mescoliamo con vigore e facciamo riposare la pasta di castagne in frigorifero coperta da una pellicola fino a che non si sarà raffreddata e rassodata.
Trascorso il tempo di riposo, riprendiamo il cammino alla scoperta di noi stessi: con uno schiacciapatate creiamo degli spaghetti di pasta di marroni e stendiamoli su un piatto. Quando pensiamo di averne fatti abbastanza, riponiamo di nuovo in frigorifero. Nel frattempo montiamo la panna (se vogliamo con 20 gr di zucchero) e con un sac-à-poche creiamo al centro del piattino scelto per il dolce una montagna innevata, alta tanto quanto pensiamo di meritarla. Possiamo anche sbriciolare delle meringhe sotto e sopra la nostra piccola vetta di panna, possiamo anche innalzare la nostra cima su una piccola base di frolla già cotta: ognuno è artefice del proprio destino. Fatto ciò, riprendiamo i nostri spaghetti e ricopriamo la montagna nel modo migliore: sarà sempre e comunque difficile e il risultato decisamente poco attraente. Decoriamo con un ciuffetto di panna e delle violette candite. Non ci facciamo i complimenti, ma affondiamo il cucchiaio nel nostro impegnativo sforzo di comprensione di noi stessi.
Aristortele
Maddalena Borsato è pasticciera disordinata e ricercatrice in Estetica del cibo. Jacopo Giacomoni è drammaturgo e performer dall’eccellente metabolismo. Insieme fanno filosofia col cucchiaino e creano ricette di pasticceria pensata. Lo scopo è farvi diventare i Socrate del Simposio, i Gorgia dell’agone culinario, i Sant’Agostino della Saint Honoré, i Marx della Lotta di glasse, gli Heidegger del Da-ssert, i Nietzsche del Superuovo, gli Hegel del bignè assoluto.