Sembra che appartenere al genere femminile non sia mai stato facile; né nel passato, quando, per esempio, anche nei paesi dell’Europa Occidentale, le donne vivevano una condizione socio-politica di esclusione e di inferiorità; né nel presente, quando, per esempio, le donne delle società moderne si trovano nella necessità di gestire l’ambito familiare lavorando fuori casa gran parte della giornata. Sicuramente, l’indipendenza economica è un aspetto fondamentale della libertà progettuale di qualsiasi persona. Inoltre, l’operosità domestica è stata per molto tempo motivo di un universo femminile proiettato alla cura della casa e della famiglia in cui le occasioni di vita delle donne erano stabilite dalla tradizione dominante. Ma, nonostante gli interventi attuati in favore della emancipazione femminile, resta pur vero che il tempo del lavoro extra-domestico e del lavoro domestico privano di fatto molte donne della quotidianità di un tempo libero.
Ecco che, allora, possiamo rivolgerci a uno dei più importanti intellettuali del Novecento, il filosofo e matematico Bertrand Russell (1872-1970) che, vissuto in un transito storico caratterizzato da molti cambiamenti, nel suo breve saggio Elogio dell’ozio dell’omonima raccolta pubblicata nel 1935, argomenta a favore della disponibilità di un tempo libero; «se non può disporre di una certa quantità di tempo libero» afferma Russell un «uomo rimane tagliato fuori da molte delle cose migliori» (B. Russell, Elogio dell’ozio, Tea-Saggi, 2018, p. 18). Vale la pena, quindi, articolare il punto di vista di questo pensatore che, pur manifestando la sensibilità dell’epoca nell’utilizzo universale del maschile, scelse di avvalorare – in un groviglio di idee vecchie e nuove – il lavoro extra-domestico delle donne (cfr. ivi, pp. 46-47).
Ora, Russell pensa a una sorta di part-time generalizzato; egli propone «che le ore lavorative siano ridotte a quattro» (ivi, p. 23) per permettere equamente a tutta la società di fare un «saggio uso dell’ozio» (ivi, p. 18). Le quattro ore, infatti, evitando che alcuni lavorino troppo e altri non lavorino affatto, garantirebbero, con l’aiuto della tecnica, il soddisfacimento dei bisogni materiali (cfr. ivi, pp. 13-17, 23). Inoltre, a condizione di una formazione adeguata (cfr. ivi, p. 23), la riduzione dell’orario di lavoro consentirebbe di «sfruttare con intelligenza il proprio tempo libero» (ivi, p. 23). In particolare, se «tutte le energie attive si esauriscono nel lavoro», (ivi, p. 24) alle persone non resterà che dedicarsi – se e quando possibile – «a svaghi passivi e vacui» (ivi, p. 26). Di conseguenza, l’ozio, e perciò il tempo libero, non coincide, nella prospettiva del filosofo, con il tempo del far nulla bensì con il tempo dedicato agli interessi attivi della persona. «Se gli uomini lavorassero meno», precisa infatti Russell, «ritroverebbero la capacità di godere i piaceri cui si partecipa attivamente» (ivi, p. 24).
A questo punto, dunque, è bene soffermarsi brevemente sulla proposta anticonformistica di Russell poiché, grazie a essa, possiamo rinnovare la nostra osservazione critica. Per prima cosa, la sua riflessione può ricordarci che le occupazioni del mercato del lavoro non sono tutte ugualmente piacevoli e che, perciò, le mansioni che vengono svolte più per necessità che per passione riducono lo spazio di felicità di una persona.
Per seconda cosa, Russell sottolinea l’ozio come «essenziale per la civiltà» (ivi, p. 14) poiché sono le attività svincolate dalle esigenze contingenti della società che possono prospettarne il miglioramento. Cosicché, la durata della giornata lavorativa (o, in generale, la valorizzazione o meno della presenza sul mercato del lavoro) diventa cruciale sia per la ricchezza materiale di uno Stato che trae gran parte dei suoi introiti dalla tassazione e dal volume degli scambi, sia per la prosperità di una civiltà che, diversamente, necessita di un impegno libero dai meccanismi di funzionalità sociale.
La proposta di Russell può condurci, quindi, a intravedere – in uno spiraglio tra spunti vecchi e nuovi – la possibilità di uno sviluppo qualitativo della nostra società. Il tempo libero, infatti, consentirebbe alle persone di conoscere e di fare tesoro delle esperienze di pensiero e di vita delle tantissime figure della storia culturale del mondo. Questa attività darebbe vita a una nuova sensibilità, traversale a quella modulata dalle occupazioni lavorative, che andrebbe a operare una significativa modifica sulle domande e offerte di mercato, sulle modalità del lavoro comunemente accettate e sugli stili di vita. Sicché, proprio come sosteneva Russell, «la strada per la felicità e la prosperità si trova […] in una diminuzione del lavoro» (ivi, p. 11) poiché l’emancipazione è la concretezza di dare rilievo e contenuto ai quesiti che sorgono nella quotidianità della propria esistenza.
NOTE
[Photo credit Max Böhme via Unsplash]