Nella pellicola cinematografica Mona Lisa Smile del 2003 si racconta la storia di una docente di Storia dell’Arte che, giungendo dalla California nel Massachusetts, inizia a insegnare presso l’istituto femminile Wellesley College. Qui, fin dalla prima lezione, l’insegnante Katherine Ann Watson (Julia Roberts) si accorge dell’ottima preparazione nozionistica delle sue allieve. Colta un po’ alla sprovvista dalla dinamica della lezione, che si conclude con la decisione delle allieve di proseguire nello studio per proprio conto, escogita una diversa strategia formativa alla seconda lezione. Questo perché l’obiettivo educativo fondamentale della docente sembra essere quello di voler insegnare alle ragazze a ragionare con la propria testa.
Ma questo ambizioso proposito che cosa davvero significa? In fondo, è veramente possibile insegnare a ragionare liberamente, a esprimersi in libertà? E se sì come?
Iniziamo con il cercare di rispondere alla prima domanda e al riguardo, notiamo subito che molte conversazioni del film ruotano intorno al tema dell’Arte che possiamo considerare, in un duplice senso, occasione ed eccellenza dell’espressività umana. L’opera artistica, infatti, rappresenta non soltanto la testimonianza della singolarità dell’artista, ma offre anche a chi la osserva la possibilità di rintracciare, rispetto all’opera, il proprio personale sentire. Cosicché la disciplina dell’Arte può rappresentare una perfetta opportunità didattica per una lezione sulla libertà espressiva attraverso l’unicità di chi esegue e di chi osserva l’opera artistica. Non a caso, l’insegnante Katherine sollecita più volte le sue allieve a esprimere una propria opinione intorno a un dipinto e a soffermarsi a riflettere per poter esplicitare a parole il proprio pensiero, il proprio sentire. Ciò sembra quindi suggerirci che il ragionare con la propria testa significhi mostrare di saper riconoscere ed esprimere ad altri l’autenticità del proprio sentimento e della propria sensibilità.
Passiamo ora al secondo quesito che ci invita a riflettere sull’apparente paradosso della pretesa pedagogica di Katherine ben espresso dal docente di Italiano Bill Dunbar (Dominic West). Nella scena del film che sancisce la rottura della loro relazione, Bill, infatti, con aspra franchezza, le dice: “Tu non sei venuta qui per aiutare le persone a trovare la propria strada, ma per aiutare le persone a trovare la tua strada!”
Katherine non è sposata, è economicamente indipendente e nell’America degli anni Cinquanta, che vede nel matrimonio la piena realizzazione della donna, Katherine rappresenta l’opposto del modello femminile tradizionale. L’accusa di Bill allude quindi al rischio di Katherine di imporre alle ragazze il suo stile di vita, confondendo il suo obiettivo educativo alla libertà con l’aspettativa di essere da loro emulata.
In realtà, la vicenda dell’allieva Joan (Julia Stiles), che sceglie di sposarsi e rinunciare agli studi universitari, ci suggerisce che Katherine ha sì indirizzato Joan al modello femminile dell’auto-realizzazione professionale, aiutandola per esempio nella compilazione della domanda universitaria, ma che sembra anche essere riuscita, in qualche modo, a far emergere nella giovane studentessa la fermezza della sua personale decisione.
A questo punto, allora, possiamo considerare il terzo quesito che ci spinge a riflettere su come sia possibile insegnare a ragionare liberamente. In questo caso è la vicenda di una altra alunna a suggerirci una possibile risposta. Betty (Kirsten Dunst), che rappresenta l’aspirazione femminile al matrimonio, tradita dal marito, finirà per chiedere il divorzio, rifiutandosi di fingere una felicità d’apparenza così come le viene invece indicato dalla madre. L’atteggiamento di Betty, quindi, si capovolge nel corso del film: da sostenitrice imperterrita della tradizione culturale a donna che riesce a dare legittimità al suo sentire senza avvertire la necessità di una approvazione che non sia esattamente la sua. In questo cambiamento interiore Betty riconosce l’importanza della testimonianza della sua insegnante Katherine, dedicandole l’ultimo suo articolo al Wellesley College. Katherine, quindi, è riuscita a far maturare in Betty la consapevolezza di sé stessa; e lo ha fatto, non attraverso uno scontro diretto con lei, ma attraverso l’argomentazione in aula della sua profonda delusione per il fraintendimento del suo insegnamento, accusato di sovvertire il ruolo naturale delle donne.
Tutto questo ci predispone a comprendere il valore pedagogico di una autentica testimonianza di libertà di pensiero e di vita. Testimonianza che ha il duplice scopo di rafforzare in noi ciò che vi è di simile e, parimenti, di sfidare ciò che, al contrario, ne è diverso. Insegnare a ragionare con la propria testa significa, allora, distendere la trama del possibile. Imparare a farlo vuol dire, per questo, avvertire vibrare i propri confini. La libertà è l’elasticità del nostro dettaglio che scopre la singolarità del suo slancio attraverso l’unicità delle piccole e grandi opere del mondo.
[immagine tratta da un fermo immagine del film]