Nella Costituzione e nelle carte dei diritti universali la libertà è intesa come diritto inviolabile della persona perché necessaria, ma non per questo, paradossalmente, non vincolata dai bisogni dalla società di cui l’uomo fa parte e che egli stesso struttura.
La libertà nel pensiero classico è stata intesa come libero arbitrio cioè come libertà di scelta: l’uomo è portato naturalmente a scegliere e la scelta concorre ad esplicare la natura umana. C’è, però, una sproporzione tra ciò che l’uomo vorrebbe e ciò che l’uomo riesce ad ottenere. Affermava, infatti, Kant nella sua prima critica che, poiché l’uomo è costantemente portato a desiderare, risulta quasi essere indeterminato per natura rispetto agli oggetti infiniti che vorrebbe raggiungere: «Dai a una persona tutto ciò che vuole e a quel punto tutto non sarà abbastanza»1.
La definizione, quindi, data in precedenza non sembra essere sufficiente, soprattutto nell’età moderna quando imperversano dibattiti sulla libertà dei cittadini e sui diritti di questi in relazione alla società. Come conciliare la libertà di scelta dell’uomo con la società di cui fa parte? Una soluzione sembra sia nella via kantiana:
«Agisci in modo da considerare l’umanità, sia nella tua persona, sia nella persona di ogni altro, sempre anche al tempo stesso come scopo e mai come semplice mezzo» (ivi, p. 92).
Kant, nella Critica della Ragion Pratica, riflette sulla libertà in relazione alla legge morale dell’individuo, che è libero in quanto si configura come colui che sceglie a quale legge sottoporsi. L’ambito morale e teoretico vengono ad intrecciarsi in un complesso dibattito dal quale risulta che la libertà dell’individuo è strettamente connessa alla scelta; nessuno ci obbliga ad aderire alla legge morale, ma chi sceglie di farlo lo fa in relazione alla società in cui vive ed è colui che è dotato di autocoscienza. L’uomo si rende conto che non può esercitare anarchia su sé stesso e non rispettare la società di cui fa parte, quindi, aderisce alla legge morale. La legge a cui l’uomo sceglierà di sottoporsi, in teoria, dovrebbe essere mirata alla tutela della collettività e soprattutto non censura ma, entro i limiti, garantisce un ampio spettro di libertà su sé stessi in relazione alla società.
L’uomo deve agire in base a quello che Jonas definirà principio di responsabilità2 (riprendendo il concetto kantiano di responsabilità morale espresso nella prima critica) che sarà una guida e sarà sviluppato grazie alle norme morali e civili che il singolo deciderà di adottare autostrutturandosi attraverso il rapporto con la società. Parlare di libertà, infatti, implica parlare di responsabilità: la libertà senza responsabilità diventa anarchia e l’anarchia sulla propria persona, esercitata all’interno di una società civile, porta alla dissoluzione di questa e di sé stessi; la soluzione è nella salvaguardia della propria libertà d’azione tenendo presente la responsabilità verso la società in vista del bene comune. La libertà d’azione e di scelta dell’uomo sarà mirata e direzionata da questo principio.
Perché riflettere oggi sul principio di responsabilità?
In un mondo dove vi sono battaglie per diritti inalienabili legati alla sfera personale dell’uomo e dove si discute di temi doverosi e gravosi che interessano l’intera società (esempi sono le discussioni sul fine vita, la battaglia per la parità dei sessi, i diritti LGBTQ) riflettere sul principio di responsabilità implica ragionare su ciò che possiamo fare per la società e per noi stessi rispettando l’altro e guardandolo come parte di noi stessi e non come diverso. Combattere per gli altri equivale a capirsi e combattere per la propria libertà che deve essere inalienabile. L’uomo moderno deve essere colui che costruisce sè stesso in base al rapporto con la società e con gli altri.
L’uomo è l’insieme delle relazioni che instaura, l’insieme delle influenze dirette ed indirette con cui viene a contatto; egli è una goccia dell’oceano della società di cui fa parte ed in quanto tale indispensabile ad essa.
NOTE
1. Cfr. I. Kant, Critica della Ragion Pura, Laterza, 2022, pp. 88-90.
2. «Kant nella I critica è stato il più efficace a distinguere il senso morale filosofico da quello giuridico di libertà e responsabilità: è moralmente responsabile l’uomo che agisce in maniera autonoma, ovvero non determinata da forze esterne (ossia grazie a quello che io chiamo Principio di Responsabilità). Dove c’è costrinzione, non c’è moralità, la moralità agisce sull’individuo libero, moderato dal principio di responsabilità verso l’altro» (Hans Jonas, Il principio di responsabilità, Einaudi, 1979, p. 34).
Photocredit Diogo Nunes via Unsplash