Il calcio sembra essere nel pallone. Negli ultimi mesi, diversi calciatori di squadre europee di prima fascia stanno paventando con insistenza uno sciopero collettivo, per via del numero eccessivo di partite previste dai calendari dei vari tornei nazionali e internazionali. Simile gesto sarebbe inusuale, seppur non senza precedenti, nel calcio stesso (successe l’ultima volta in Italia nel 2011) come nelle competizioni sportive più in generale.
Fu storico il caso della terza guerra servile guidata dal gladiatore Spartaco (73-71 a.C.), che rischiò persino di far crollare le istituzioni romane; ma restando ai giorni nostri, possiamo ricordare l’eclatante lockout che tra il 1998 e 1999 bloccò il campionato NBA per oltre 6 mesi, portando per la prima volta nella storia della lega a una vera e propria cancellazione delle gare (ben 32 su 82), anziché al loro semplice rinvio. Evidentemente, un conto è una rivolta armata e un altro una contrattazione sindacale senza sconti; al contempo, va ricordato che l’idea e la pratica di sciopero non sono fisse e univoche: ogni epoca o società, talora anche ogni tipologia di lavoratori, elabora i propri modi di scioperare1.
Nel caso del calcio odierno, a rendere del tutto manifesta un’insofferenza che covava già da tempo è stato in particolare il nuovo Mondiale per Club stabilito dalla FIFA, che costringerebbe a disputare circa 80 incontri in stagione, nel migliore dei casi – o forse a questo punto peggiore. Certo, parlare di costrizione sembra eccessivo e beffardo: sono pur sempre persone a cui le rispettive società garantiscono stipendi annuali – andando proprio ai minimi – di centinaia di migliaia di euro. Su queste basi, prende forma l’argomento tipicamente populista, per cui che una categoria di lavoratori tanto benestante proclami uno sciopero offende chi non arriva a fine mese. Ossia: questi sono milionari che incrociano le braccia – anzi, le gambe – in protesta contro altri milionari, con quale coraggio si lamentano anche?! Prendessero i compensi da fame di noi comuni mortali, che certo non siamo pagati per correre dietro e tirare calci a un pallone ma per faticare davvero, e poi vediamo!
Né il populista convinto si smuove facendo notare che i calciatori sono pur sempre lavoratori con i propri diritti e che soltanto una piccola frazione di essi sono milionari. Egli, infatti, ribatte pronto che questi ragazzini viziati cerchino di prenderci in giro: protestano solo ora che si sentono direttamente toccati, non gliene frega niente dei diritti dei professionisti delle serie minori! Se il calcio è ormai diventato un semplice business in mano a fondi di investimento, procuratori e televisioni è anche colpa loro, mercenari pronti a tradire la maglia per il migliore offerente! Come in altri casi, l’atteggiamento populista si rivela tanto estremo e persino violento quanto capace di toccare alcune corde che coinvolgono emozioni e pensieri che albergano in ciascuno di noi: al di là di ogni possibile discorso sul merito2, viene di impulso difficile ritenere giusto che Cristiano Ronaldo percepisca di stipendio circa 400 euro al minuto – senza considerare l’indotto di sponsorizzazioni e annessi.
Tuttavia, forse lo sciopero delle grandi stelle del calcio potrebbe non risultare così anti-popolare, perlomeno stando a un possibile argomento influencer – se così vogliamo chiamarlo. Infatti, precisamente il fatto che i grandi calciatori sono idoli di massa, punti di riferimento per i tifosi e sempre più sovraesposti mediaticamente, potrebbe conferire alla loro protesta un ruolo simbolico-esemplare. Non tanto nel senso che, come nel caso ancora recente dei cestisti NBA a favore del movimento Black Lives Matter, una loro serrata potrebbe contribuire a dare visibilità a una causa specifica di interesse sociale più condiviso: effettivamente, non si capisce che cosa potrebbe guadagnare un sostenitore nel vedere i propri “11 leoni” riposare qualche giorno in più. Tuttavia, vedere milionari scioperare con successo potrebbe innescare un effetto-domino in reazione a una paradossale ingiusta-giustizia: perché a loro danno retta e a noi no?!
Insomma, vedere che “i ricchi”, facendo squadra, riescono a inceppare gli ingranaggi della macchina del calcio, potrebbe risvegliare “il popolo”, invitandolo a un’emulazione condita da rabbia e spirito di rivalsa. Che siano dunque proprio i populisti a dover desiderare che Mbappé si metta – da buon francese – a capitanare la rivoluzione delle star del pallone?
NOTE
1. Cfr. la breve ma incisiva analisi di M. Montanelli, Sciopero, in F. Castelli, F. Giardini, F. Raparelli (a cura di), Conflitti. Filosofia e politica, Le Monnier, Firenze 2020, pp. 119-128.
2. Cfr. per esempio la discussione del caso di Michael Jordan in M. Sandel, Giustizia. Il nostro bene comune, Feltrinelli, Milano 2012, pp. 69-88.
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