Elsa Morante (1912-1985) ci appare come una scrittrice assoluta: fedele al bisogno di raccontare storie, capace di creare personaggi vividi e imprevedibili come la vita stessa, strenuamente dedita alla ricerca di un linguaggio duttile e screziato, lontano dalla banalità della comunicazione quotidiana eppure sempre limpido. Qualità che tutti i lettori riconoscono nei suoi quattro romanzi – tra i quali bisogna ricordare almeno L’isola di Arturo (1957) e La storia (1974) – ma che ritroviamo con tutta evidenza anche in un’opera meno conosciuta e frequentata come i racconti di Lo scialle andaluso (1963).
È un’opera composita, costruita selezionando alcuni titoli della raccolta d’esordio Il gioco segreto (1935) e aggiungendo alcuni racconti più recenti. In questo modo possiamo sondare una buona parte dell’evoluzione di questa autrice: dal breve Il ladro dei lumi, con una bambina che teme la punizione di Dio sul guardiano di un tempio ebraico che ruba l’olio delle lampade funerarie e sottrae quindi la luce ai morti (un tema vagamente kafkiano), al lungo racconto che dà il titolo alla raccolta e di cui parleremo alla fine.
Sono storie piene di bambini, tratteggiati senza nessuna condiscendenza, e anzi accettando con grande serietà il loro punto di vista sul mondo. Gli adulti, nel racconto Il gioco segreto, vivono in un antico palazzo ormai decaduto («era una casa patrizia in rovina, una volta pomposa, ora disfatta e squallida. La facciata carica di ornamenti, resa grigia dal tempo, mostrava i segni dello sfacelo. I putti librati a guardia della soglia erano corrosi e sudici»), ma ai loro tre bambini basta immaginare il gioco del teatro, paludarsi con una coperta sbrindellata che si trasforma in un manto di velluto tempestato di gioielli, perché le storie che recitano di nascosto prendano vita.
Anche alcuni personaggi adulti conservano uno spirito fanciullesco, come la candida e aerea Donna Amalia, incantata dai mille aspetti della realtà e capace di svegliare le sue domestiche perché contemplino con lei la luna: “Una luna come non s’è mai vista! Questa non è una luna, è un sole! Guardate l’aria! Questa non è un’aria, è una specchiera! sembra che ad affacciarsi su questa serata uno ci si debba specchiare il viso. Ah, Maria Santissima, madruzza mia dolce, che bellezza di luna! che se ne va per il cielo, come una barchetta per il mare! ”.
I personaggi di Elsa Morante sono estremi, i loro amori sconfinano in cieche gelosie, in brame di possesso assoluto. Nel racconto La nonna una vecchia madre, dopo il matrimonio del figlio è incapace di accettare la donna che glielo ha portato via, e scompare nel nulla. Quando ritorna, alla coppia sono nati due gemelli, e racconta ai bambini incantevoli fiabe che li spingono a salire su una barca rincorrendo una farfalla; ma la barca si scioglie e i bambini scendono a precipizio per un fiume: «già, sulla verde linea della luce, i cavalli di vetro si impennavano incontro a loro e da quel galoppo irruppe fischiando un vento gelato, in cui gli uccelli dalle ali d’acqua si dibattevano. – È qui! – bisbigliarono i fratelli atterriti».
E in Lo scialle andaluso tutti questi temi sembrano fondersi insieme in un impasto di realismo, passioni, fantasie che appare come la cifra più evidente di questa scrittrice. La protagonista, Giuditta, ha lasciato tutto per seguire la passione per il teatro e il canto, e fa la ballerina nel teatro dell’opera. Il figlio maggiore, Andrea, è geloso di quella passione per il teatro che gli sottrae l’affetto per la madre, e come per punirla entra in seminario. Anni dopo il ragazzo ritrova la madre su un manifesto, e preso dalla nostalgia evade dal collegio per vederla sulla scena: talmente incantato da non capire che lei è ormai un’attrice scadente, presa in giro crudelmente dal pubblico. Ma la madre avvolge il ragazzo nel suo grande scialle andaluso e insieme se ne vanno. Solo in seguito Andrea capisce che lei lo ha fatto solo perché il teatro le ha voltato le spalle. E il ragazzo può solo immaginare il ruolo che è destinato a recitare: «Come sarà? Egli vorrebbe immaginare il futuro se stesso, e si compiace di prestare a questo Ignoto aspetti vittoriosi, abbaglianti, trionfi e disinvolture! Ma, per quanto la scacci, ritrova sempre là, come una statua, un’immagine, sempre la stessa, importuna: un triste, protervo Eroe avvolto in uno scialle andaluso».
NOTE
[Immagine tratta da Google immagini]