Michele ha trent’anni e tutta la sua vita ruota intorno al lavoro presso la stazione di Miniera di Mare. Ogni sera, quando gli ultimi passeggeri abbandonano il convoglio, lui dà inizio al suo rituale. Sale sul treno, aspira gli odori che permeano le carrozze, pulisce accuratamente tutti i vagoni, lucida vetri e maniglie e, come un padre affettuoso, recupera gli oggetti dimenticati da viaggiatori distratti. Oggetti che ingombrano un’intera stanza della sua casa, situata all’interno della stazione stessa. Tutta la sua esistenza si dipana infatti in una manciata di metri, che Michele percorre e ripercorre giorno dopo giorno, intrappolato in una routine fatta di gesti sempre uguali. Unica compagnia dei suoi pasti insapore, gli oggetti smarriti dai viaggiatori, che cataloga con cura e attenzione. La vita che scorre oltre la stazione assume per Michele contorni minacciosi, perché se a sette anni tua madre varca l’uscio di casa con una valigia, promettendoti di tornare, e abbandonandoti per sempre, il mondo là fuori non deve sembrarti un posto bello in cui abitare. Da quel giorno, e ancor più dopo la morte del padre, Michele si è chiuso in se stesso, impedendo a chiunque di varcare la soglia del suo isolamento.
Ma il destino sembra avere altri programmi e un giorno accade l’imprevedibile. Qualcuno bussa alla sua porta per reclamare un oggetto smarrito. Elena, un uragano di entuasiamo e parole, farà irruzione nella sua casa come un arcobaleno su uno sfondo grigio, e niente sarà più come prima. Michele cercherà con tutte le sue forze di tenerla fuori dal suo cuore, perché permetterle di entrare sarebbe un’implicita autorizzazione a ferirlo. Poi un altro evento rimescolerà le carte. Una sera come tante, sullo stesso treno di sempre, Michele ritroverà un oggetto che mai avrebbe pensato di rivedere: il suo taccuino rosso, quello che la madre portò con sé andando via di casa vent’anni prima. La ferita che sembrava rimarginata riprenderà a pulsare con forza sotto la cicatrice. Michele si rimetterà sulle tracce della madre ed Elena lo accompagnerà, a distanza, in questo difficoltoso viaggio
Una storia che parla di abbandono, di esperienze traumatiche che determinano il corso di un’esistenza. Un libro che è un po’ una metafora del dolore, degli effetti devastanti che la deflagrazione di una perdita può produrre su chi resta. Perché quando qualcuno ti ferisce così profondamente da bambino, è come scavare un buco in un tronco giovane. Il segno rimarrà visibile per sempre.
Perché nessuno ritorna, anche se lo promette. Soprattutto se lo promette.
Un romanzo che mi ha emozionato tanto, in un crescendo di sentimenti sempre più complicati da gestire. Michele, con la sua ritrosia, le sue prigioni fatte di paure, il suo mondo in bianco e nero, la sua sofferenza così tangibile e reale, è un personaggio che suscita commozione e induce alla riflessione. Elena, al contrario, è colore, irruenza, vita non filtrata. Luce non priva di ombre, perché non esiste un unico modo per affrontare la sofferenza. Ognuno reagisce al dolore secondo personali e insondabili strategie di sopravvivenza. Di che colore sei? Chiede Elena a Michele. E Michele dovrà scoprirlo, ricominciando a vivere, a rischiare, a soffrire, ad abbandonare le confortevoli sfumature di grigio della sua vita. Perché non ci si può difendere dalla tristezza, senza difendersi anche dalla felicità.
La vita è sempre un rischio. Per chiunque.
Un esordio letterario assolutamente promettente, con un tocco fiabesco e una prosa scorrevole, che mi rende impaziente di scoprire la prossima storia che Salvatore Basile ci regalerà.
Stefania Mangiardi
[Immagini tratte da Google Immagini]