L’economista Dambisa Moyo, nel suo libro Edge of chaos, teorizza la pratica di “un voto ponderato”, da calcolare in base al grado di conoscenza e informazione in materia di politica da parte degli elettori.
La proposta provocatoria è volta a riporre maggior peso e valore al voto dei cosiddetti “elettori informati” rispetto a coloro che informati e consapevoli non sono; «se ti interessa la politica, se le dedichi tempo, energie e passione, è giusto che la tua voce, le tue scelte, il tuo voto, abbiano peso nel dibattito».
L’espressione ironica – che forse più o meno tutti abbiamo pronunciato almeno una volta – “il problema è che il mio voto vale tanto quanto il tuo”, trova una sua definizione nell’opera dell’economista americana.
Il tentativo dell’autrice è quello di risanare una democrazia ormai malata ed inefficace, vittima dei populismi del nostro tempo. Il popolo viene oggi esaltato in maniera mistica per condurlo dove si vuole, attraverso falsa informazione ed errori di ragionamento.
Viviamo in un mondo caratterizzato da pensieri banalmente scorretti, ragionamenti inesatti e dialoghi sterili, come ha anche ricordato Giovanni Boniolo, professore di filosofia della scienza, durante il suo intervento “Democrazia, scelta e conoscenza”, al Festival della Politica di Mestre 2018.
Uno dei problemi più significativi è l’assenza di capacità di ragionamento, piuttosto che un effettivo disinteresse per le tematiche politiche. Se pur ci interessassimo e ci informassimo attraverso i più disparati canali di informazione, mantenendo tuttavia un modo di ragionare scorretto, tutta la nostra conoscenza sarebbe inutile. La pratica provocatoria del “voto ponderato” non apporterebbe alcun genere di miglioramento, anzi, esalterebbe i populismi e ci consegnerebbe un biglietto di sola andata per il 1892 (nel 1893 la Nuova Zelanda fu il primo stato al mondo a introdurre il suffragio universale).
Quale potrebbe essere una soluzione? Aumentare i diritti; occorrono passi avanti e non indietro. La logica, l’arte del buon ragionare, può essere insegnata; la retorica, l’arte del buon parlare può essere appresa. L’obiettivo cui tendere dovrebbe essere non solo conoscenza dei fatti, ma conoscenza del modo di ragionare sui fatti.
Individuare il corretto ragionamento come strumento per esser accolti nel processo decisionale democratico. Esso si qualificherebbe anche come linguaggio universale, quindi la definizione di un quadro unitario volto a superare le incomprensione di comunicazione tra populisti e non. Un esempio di mancanza di comprensione è il dialogo tra sordi sul tema dell’immigrazione.
La maggior parte degli italiani pensa che la presenza di stranieri in Italia superi il 25%, nonostante le statistiche affermino una percentuale dell’8, come riportato dallo studio “Immigrazione in Italia: tra realtà e percezione” dell’Istituto Cattaneo1.
La percezione sulla sicurezza è nuovamente fallata. Sebbene l’Italia diventi ogni anno più sicura, paura e senso di insicurezza continuano ad aumentare. L’unica cosa che rimane da fare (come sostenne recentemente un esponente politico italiano) per arginare quell’emotività che spesso rischia di distorcere la percezione della realtà sembrerebbe quella di continuare a presentare questi dati, a parlarne con le persone, a presentare i fatti.
Ognuno, tuttavia, espone il proprio discorso senza comprendere quello dell’altro e il tutto si ferma ad un dialogo privo di significato. L’insegnamento della logica – del corretto ragionamento – costituirebbe lo strumento comune su cui costruire un dialogo che ponga le giuste domande in virtù della ricerca della verità.
Ma tutto questo è possibile solo se si utilizza lo stesso linguaggio: la logica. Altrimenti continueremo a rimanere impigliati in discorsi sul nulla, dove da una parte si elencheranno numeri e statistiche e dall’altra si parlerà di sensazione ed emozioni.
Jessica Genova
NOTE
1. Per leggere il rapporto: qui.