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Lolita

 

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Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, mia anima, Lo-li-ta. Era Lo, semplicemente Lo al mattino, ritta nel suo metro e quarantasette con un calzino solo. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea tratteggiata dei documenti. Ma tra le mie braccia era sempre Lolita.

Inizia così Lolita del grande Nabokov, romanzo pubblicato nel 1955 dalla Olympia Press. Definirlo romanzo sarebbe riduttivo: Lolita rappresenta una spaccatura tra cui si dividono morale e riflessione. Rappresenta un punto di rottura per chi ha vissuto negli anni ’50, rappresenta un metodo diverso, un tema che non viene acclamato e che non molti avrebbero avuto il coraggio di toccare.
La casa editrice parigina non fu la prima a cui l’Autore presentò il manoscritto; ben quattro case editrici americane rifiutarono di pubblicarlo e lo presero in considerazione soltanto tre anni dopo, grazie alle cinquanta milioni di copie vendute.
Difficile parlarne anche oggi a dir la verità, difficile cogliere il confine tra i desideri più bui e interni dell’ambiguo professor Humbert e la provocazione di Dolores Haze nei suo confronti. Difficile non provare ribrezzo leggendo determinate espressioni, difficile non pensare alla pedofilia, difficile non giudicare.

Leggerlo scatena le sensazioni più distanti: c’è chi prova un’enorme repulsione, c’è chi riflette sui numerosi spunti che offre questo romanzo.
Qual è il confine tra la provocazione di un’ appena ragazzina e il desiderio sessuale frutto delle fantasie di un “vedovo di razza bianca”?
Lolita prova piacere nel poter stuzzicare il professore, concedendogli la pulsione erotica che se inizialmente gli ricorda il suo passato e l’incontro con Annabel di quando aveva tredici anni, successivamente prende il sopravvento e scatena la dimensione della prevaricazione.
La prevaricazione della morale, la prevaricazione dei suoi disturbi psichici e delle sue fantasie sessuali. L’incapacità di pensare a Lolita come ad una bambina che dovrebbe essere la sua figliastra.
Lolita è carne, passione, è ossessione.
Ma non è solo un racconto di ossessione quello che elabora Nabokov, è l’inizio dell’analisi di una società ipocrita, che giudica sulle basi di posizioni sociali e apparenze, condannando la diversità, perché non si pone domande sulla vera natura degli esseri umani e dei loro desideri. In ogni personaggio di Lolita esiste una diversità, esiste un disturbo psichico: basti pensare alla trasposizione che fa Kubrick nella pellicola che prende spunto da questo romanzo della madre di Dolores: una donna con tratti ridicoli, con modi e una risata che ha ben poco a che fare con la rigidità del buon costume.

Lolita rappresenta quello “di cui non si può parlare”, ma soprattutto un tema di cui “non si riesce a leggere”.
Lolita divide, con tratti di chiaro scuro, l’animo umano.
Divide le folle e nemmeno oggi può esserci così comprensibile; spaventa ed incuriosisce, come ogni cosa che non è completamente luce o definitivamente buoio.

Cecilia Coletta

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“How did they ever make a movie of Lolita?” Ovvero: com’è possibile realizzare un film tratto da un libro tanto importante quanto scomodo? Siamo alla fine degli anni Cinquanta, prima della rivoluzione dei costumi avvenuta nel ’68, prima che la morale comune ridefinisse per sempre i suoi orizzonti. In questo scenario puritano, il mondo dell’editoria era stato scosso dal genio creativo di V. Nabokov che aveva creato un romanzo destinato ad entrare nella storia. Le bollenti passioni di una giovane ninfetta avevano scosso gli umori dei lettori di tutto il Mondo, ma per quanto le si condannasse esse restavano parole stampate su fogli di carta, che prendevano vita solo grazie all’immaginazione di chi le leggeva. Cosa sarebbe successo però, se quelle parole si fossero trasformate in immagini proiettate sul grande schermo? La risposta a questa domanda arrivò nel 1962 e portò la firma del più grande regista del Novecento: Stanley Kubrick. Sin dal momento dell’acquisto dei diritti sul libro, il principale problema che si pose a Kubrick fu come ottenere il sigillo di approvazione della MPAA per un soggetto che trattava esplicitamente di pedofilia, un argomento tabù per il Codice Hays. Senza quel numero era difficile distribuire il film per sale e TV e, senza una concreta possibilità di ottenerlo, impensabile trovare dei finanziatori.
Prima ancora che la sceneggiatura fosse completata fu così stabilito un contatto permanente, cui successivamente si sarebbe aggiunto Eliot Hyman per la American Artists e Geoffrey Shurlock, presidente della MPAA.

Grazie a queste collaborazioni, il problema censura venne superato, ma un altro grande ostacolo alla storia era il rischio di non rendere con la stessa efficacia la potenza narrativa del romanzo. Kubrick si rivolse a Nabokov in persona affinché si incaricasse del copione e lo scrittore dopo un primo rifiuto, decise di accettare. La prima stesura, presentata al regista nel giugno 1961, consisteva in un malloppo di più di 400 pagine, che, a detta del regista, gli avrebbero richiesto un film di sette ore. Nei mesi successivi, quindi, Nabokov, si adoperò a ridurre le dimensioni della sceneggiatura sulla base delle richieste ricevute. Ne uscì quello che in molti considerano come un capolavoro della cinematografia del secolo scorso. C’è da dire però che per quanto ben costruito, il film non riesce mai a superare il modello del libro, risultando tra le altre cose uno dei lavori meno fortunati di Kubrick. Il regista lo ammise già all’epoca, dichiarandosi insoddisfatto per non essere riuscito a “dare giusto peso all’aspetto erotico della relazione di Humbert”. Un tema, quello dell’ossessione sessuale, su cui Kubrick tornerà 37 anni più tardi con quello che sarà il suo ultimo capolavoro prima della morte: “Eyes Wide Shut”.

“Lolita” è dunque uno dei più complessi ed affascinanti esempi del rapporto tra Letteratura e Cinema. E’ il racconto di una lotta contro la morale comune, ma anche di una sfida per trasformare le parole di uno dei più grandi autori del secolo scorso in immagini. Un processo che poche altre volte è stato affrontato ad un livello tale di difficoltà. Una storia che oggi ci appare all’ordine del giorno, ma che nei primi Anni 60 cambiò il modo di pensare di moltissime persone. Un’operazione che sarebbe finita in fallimento nelle mani di qualsiasi altro regista o scrittore, ma che grazie a queste due menti illuminate è riuscita a superare indenne l’implacabile giudizio della Storia.

Alvise Wollner

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